Firenze, 13 November, 2015 / 8:00 PM
“Il convenire, che ha scandito i decenni dopo il Concilio, è divenuto preziosa tradizione di confronto e discernimento a livello comunitario; ci ha aiutato e ci aiuta a recepire le istanze conciliari, a rafforzare la nostra testimonianza di fede e a contribuire al bene comune del Paese”. Anche nello spazio pubblico “come comunità ecclesiale assumiamo con rinnovato impegno la disponibilità all’incontro e al dialogo per favorire l’amicizia sociale nel Paese e cercare insieme il bene comune”. Con queste parole il cardinale di Genova e presidente della Conferenza Episcopale italiana ha tratteggiato le “Prospettive” dopo il quinto Convegno Ecclesiale nazionale.
Un percorso, quello segnato dal tema “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, che certamente si rivolge “ad intra”, ma che considera essenziale l’apertura al mondo. “Quello fatto insieme è stato un cammino sinodale, che ci ha fatto sperimentare la bellezza e la forza di essere parte viva del popolo di Dio – ha detto ancora Bagnasco -, sostenuti dalla comunione fraterna, che in Cristo trova la sua fonte e che ci apre quindi alla condivisione, alla correzione vicendevole e alla comunicazione di idee e carismi”.
Parla di “Chiesa madre” il cardinale Bagnasco, che genera alla fede e impone “l’importanza che la nostra testimonianza sia limpida, che il nostro linguaggio raggiunga le menti e i cuori, e che sappiamo avvicinarci con compassione alle persone nelle tante fragilità che sperimentano ogni giorno”. Si, le fragilità, che a volte diventano vere e proprie povertà, perché “è estremamente diffuso, oggi, un profondo senso di solitudine e di abbandono; un sentimento di vuoto, legato alla mancanza di mete alte e di persone con le quali condividere obiettivi e impegnarsi per conseguirli”.
I più deboli sembrano essere i giovani, ai quali “la cultura dominante offre ideali spesso non autentici, legati al perseguimento di un successo effimero o di soddisfazioni momentanee. E lo fa con una pervasività e un’efficacia quasi disarmanti”.
E invece, il Papa, nella giornata fiorentina di martedì scorso, ha chiesto, ha ricordato il Cardinale, “autenticità e gratuità, spirito di servizio, attenzione ai poveri, capacità di dialogo e di accoglienza; ci ha esortati a prendere il largo con coraggio e a innovare con creatività, nella compagnia di tutti coloro che sono animati da buona volontà”.
Per Bagnasco, che ha ripreso alcune relazioni degli scorsi giorni, “la storia del nostro Paese – il ‘made in Italy’, il volontariato, le cento città, l’artigianato, l’arte, la cura, la carità, le tante forme di sussidiarietà ed economia civile, la famiglia –: sono espressioni già presenti nella realtà, preziosa eredità affidata alla nostra responsabilità”.
Perciò “la ricostruzione dell’umano, che la Chiesa avverte come suo compito primario e inscindibile dall’annuncio del Vangelo, passa da un’attenta conoscenza delle dinamiche e dei bisogni del nostro mondo, quindi dall’impegno a un’inclusione sociale che ha a cuore innanzitutto i poveri”.
“Spetta a noi – ha detto ancora Bagnasco - mostrare a tutti l’infinito tesoro racchiuso nella sua persona, e la luce che da Lui si irradia sulle nostre inquietudini, sulle problematiche e le varie situazioni di vita”. E in questo “lasciamoci guardare da Lui, “misericordiae vultus”, consapevoli che la condizione primaria di ogni riforma della Chiesa richiede di essere radicati in Cristo. Contempliamo, quindi, senza stancarci l’umanità di Gesù: in Lui siamo ridestati alla vita, riconosciamo un’esistenza unificata, raccolta attorno alla costante ricerca della volontà del Padre, e al tempo stesso tutta protesa verso il prossimo”.
Cita i recenti fatti di cronaca, con relativi scandali anche economici, il Cardinale, per ribadire che “l’impegno del cattolico nella sfera pubblica deve testimoniare coerenza e trasparenza”. Anche per questo aspetto, ammette Bagnasco, “sono rimasto colpito soprattutto dalle attese emerse dai giovani, dalla loro richiesta di riconoscimento, di spazi e di valorizzazione: sono condizioni perché la fiducia che diciamo di avere in loro non rimanga a livello di parole, troppe volte contraddette dalla nostra povera testimonianza”.
Il Presidente della Conferenza Episcopale italiana torna sulla questione del discernimento comunitario: “L’assunzione di uno stile sinodale – perché giunga ad avviare processi – richiede precisi atteggiamenti, che dicono anzitutto il nostro modo di porci di fronte al volto dell’altro – spiega -, e indicano nella prospettiva della relazione e dell’incontro la strada di una continua umanizzazione”.
Ma “uno stile sinodale esige anche un metodo, all’insegna della concretezza, del confrontarsi insieme sulle questioni che animano le nostre comunità. Vive di cura per l’ascolto, di pazienza per l’attesa, di apertura per l’accoglienza di posizioni diverse, di disponibilità a lavorare insieme”. E “infine, per dare concretezza al discernimento, uno stile sinodale deve sapersi dare obiettivi verso i quali tendere”.
“Con questo spirito – ha concluso il Cardinale - facciamo ritorno alle nostre Chiese e ai nostri territori, senza la paura di guardare in faccia la realtà – anche le ombre, anche le nostre -, ma con la lieta certezza di chi riconosce, anche nella complessità del nostro tempo, la presenza operosa dello Spirito Santo, la fedeltà di Dio al mondo”.
Le cinque vie
Nella mattinata c’è stato anche spazio anche alle sintesi del lavoro dei gruppi legati alle “cinque vie”: abitare, annunciare, educare, uscire, trasfigurare. La parola è stata presa dai moderatori dei gruppi, che in questi giorni hanno compiuto un cammino insieme, partendo dai cosiddetti duecento “tavoli” da dieci persone, per giungere ad una proposta unica “per via”, che rappresentasse circa 500 delegati.
Uscire
Per Adriano Fabris, “si abitano anzitutto relazioni. Non si tratta di qualcosa di statico, che indica uno “star dentro” fisso e definito, ma l’abitare implica una dinamica. È la stessa dinamica che attraversa le altre vie, e soprattutto la via dell’educare. Molti, anzi, hanno visto l’abitare e l’educare strettamente collegati fra loro”.
Fabris richiama alla Dottrina sociale della Chiesa e chiede di pensare alla famiglia come “un luogo di conoscenze e di azione per abitare il territorio”. Perché nella società di oggi “bisogna far emergere la dignità delle persone, bisogna metterle in grado di sentirsi utili, di sentirsi in grado di restituire qualcosa di ciò che hanno ricevuto. Una relazione buona, un’accoglienza vera, non sono semplice assistenzialismo”.
E poi, occorre “ripensare l’impegno a favore della propria comunità”. Quindi, “si tratta di ripensare la politica, e di farlo in una chiave che sia davvero comunitaria. Alcuni hanno detto: non bisogna semplicemente delegare, e poi disinteressarsi di ciò che viene deciso in nostro nome. Bisogna accompagnare i decisori, che sono i nostri rappresentanti; non bisogna lasciarli soli. Una nuova capacità di abitare le relazioni – un “nuovo umanesimo” – si collega e si esprime anche nella partecipazione e nell’impegno per una vera cittadina attiva”.
Annunciare
Parlando dell’annunciare, ha spiegato Flavia Marcacci, occorre “annunciare la gioia, non la paura: la gioia non è allegrezza da esibire, né superficialità, né senso di superiorità, né sarcasmo, né cinismo, ma profondità, leggerezza e umiltà”.
Ma l’annuncio “si fa eloquente quando è fatto di gesti che hanno il gusto della carità animata dall’adesione a Cristo, dall’imitazione delle sue azioni, dal racconto dei suoi miracoli e dei suoi incontri con le persone”.
Occorre scrollarsi di dosso l’“autoreferenzialità, il “devozionismo”, il “clericalismo”, la “povertà formativa” e “passare da una attenzione esclusiva verso chi viene evangelizzato a una specifica attenzione a chi evangelizza”, da un’“attenzione alla formazione” e all’uso di “nuovi linguaggi: occorre che siano chiari e diretti, semplici e profondi, capaci di portare a tutti la Parola. È così profonda la sete di Parola che si chiede di condividerla e non riservarla ai soli specialisti, pur riconoscendo l’importanza del loro lavoro”. “Tra le virtù di una Chiesa fedele al suo Signore e capace della gioia del Vangelo vi è quella della leggerezza, da associare alla beatitudine di cui ci ha parlato papa Francesco”.
Educare
L’educare, ha relazionato Suor Pina del Core, nonostante la “fatica” “evidente”, “è sempre un compito ‘bello’ e appassionante. Le sfide e le difficoltà infatti non mancano, anzi sono molte, specie nel contesto di complessità, di frammentazione e di disorientamento in cui siamo immersi”. Occorre, si è detto, “ripensare e rivedere alcune prassi, come sollecitazione al cambiamento o meglio a quella ‘conversione pastorale’ a cui il Papa ci ha fortemente invitato”.
“Priorità ineludibile – ha spiegato a nome del gruppo - è la formazione degli adulti, o meglio degli educatori, perché prendano in mano la propria primaria responsabilità educativa nei confronti delle nuove generazioni, curando anche la propria formazione personale (autoformazione)”; ma poi c’è anche “l’attenzione alla famiglia e l’accompagnamento delle famiglie” che deve restare “una priorità nella progettazione pastorale delle comunità ecclesiali locali”.
“Alle nostre comunità ecclesiali – ha detto ancora - è chiesta poi una nuova attenzione per la scuola e l’università, alimentando una pastorale d’ambiente che necessita di persone e di capacità di proposta”. Quindi, “un’altra linea fondamentale va nella direzione di investire nuove energie per rinnovare la formazione dei sacerdoti, dei religiosi/e e dei laici, anche mediante momenti formativi comuni tra presbiteri, famiglie e consacrati, anche valorizzando il patrimonio educativo-culturale delle nostre università ecclesiastiche e pontificie e degli ISSR, progettando percorsi formativi qualificanti nella direzione di una solida professionalità educativa”.
(La storia continua sotto)
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Circa le nuove tecnologie, “va studiato l’apporto degli ambienti digitali e il loro influsso nelle modalità di apprendimento e di relazione dei ragazzi e dei giovani. Il web non va solo studiato criticamente, ma va usato creativamente, valorizzando le culture giovanili. I media ecclesiali e le tecnologie digitali possono inoltre offrire un prezioso aiuto per la condivisione delle buone pratiche e il collegamento tra le realtà educative”.
Occorre riparlare di “Cultura e bellezza: attorno a questo inscindibile binomio la creatività ispirata dalla fede potrà trovare nuove espressioni di incontro fecondo fra le arti, il vangelo, l’educazione”.
Uscire
Sulla via dell’uscire, ha relazionato don Duilio Albarello: “la forma strutturale della Chiesa in uscita – ha detto - è la relazione rinnovata con chiunque, specialmente con i poveri e i cosiddetti lontani. Forse è proprio questo che permette al ‘sogno’ di papa Francesco di diventare realtà: si tratta di non limitarsi ad assumere l’atteggiamento delle sentinelle, che rimanendo dentro la fortezza osservano dall’alto ciò che accade attorno, bensì coltivare l’attitudine degli esploratori, che si espongono, si mettono in gioco in prima persona, correndo il rischio di incidentarsi e di sporcarsi le mani”.
“D’altra parte – ha aggiunto -, i discepoli del Signore sanno che non si esce per dare un’occhiata, ma per impegnarsi nel viaggio senza ritorno che è l’esistenza segnata dalla passione per tenere vivo il fuoco dell’Evangelo, quel fuoco che è capace - oggi come sempre - di illuminare la strada verso l’autentica umanizzazione”.
A tale proposito occorre mettere in pratica tre impegni: “avviare un processo sinodale”, “formare all’audacia della testimonianza”, “promuovere il coraggio di sperimentare”. Tra le proposte concrete, “costituire un piccolo drappello di esploratori del territorio, che non si perdano in ampollose analisi sociologiche o culturali, ma si impegnino ad incontrare le persone, soprattutto nelle periferie esistenziali dove l'uomo è marginalizzato. L'approccio non è quello di chi va a risolvere problemi perché ha soluzioni pronte e risposte a tutto, ma di chi si china a medicare le ferite con la stessa fragilità e povertà”.
Trasfigurare
Anche la parola trasfigurare ha dato lo spunto per parlare di alcune “fatiche”. Per esempio, ha spiegato fratel Goffredo Boselli, “di fronte a un certo attivismo pastorale è emersa l’esigenza, soprattutto da parte del tavolo dei giovani, di proporre cammini di fede che comprendano esperienze significative di preghiera, di formazione liturgica e di accompagnamento spirituale”. Inoltre, dai convegnisti di Firenze “si richiede una liturgia più capace di introdurre al mistero, contro forme troppo dispersive di liturgia, rumorose, trionfali e poco essenziali, spesso avulse dal vissuto delle persone”.
Secondo i gruppi di studio, “occorre rilanciare la lectio divina, ritenuto un esercizio molto valido per una lettura sapienziale ed esistenziale delle sante Scritture”. Inoltre, “attraverso la bellezza dei riti e la sua sobrietà, si auspica che la liturgia torni ad essere gustata dai fedeli; torni a interagire con tutte le dimensioni dell’umano, per riscoprire la dimensione contemplativa e simbolica della vita cristiana”.
Tra le proposte, quella che “ogni luogo dell’umano sia vissuto pienamente e abitato dall’azione dello Spirito Santo, affinché ciascuno diventi testimone, e attraverso l’incontro e il dialogo, sappia suscitare desiderio dell’Oltre in quanti hanno smarrito il senso della vita o sono gravemente feriti nel corpo e nello spirito”, riaffermando “il posto centrale che occupano la liturgia, la preghiera e i sacramenti nella vita ordinaria delle comunità”.
“Non possiamo nascondere il timore che, se compreso in modo distorto, l’invito evangelico di papa Francesco a una Chiesa sempre in uscita, possa far pensare che tra la chiesa in preghiera e la chiesa in uscita possa esserci contrapposizione – spiegano dal gruppo -: l’una rivolta al suo interno attraverso la preghiera, la liturgia e i sacramenti; l’altra impegnata a uscire per raggiunge tutte le periferie. No, non ci sono due chiese, perché uno è il Cristo vivente, pregato e celebrato per ciò che lui è, e da noi riconosciuto presente nella persona del povero che è il suo più reale sacramento”.
Riaffermando che “i sacramenti della Chiesa sono un cammino di umanizzazione evangelica”, il gruppo ha chiesto la promozione di “liturgie ospitali che sanno andare incontro alle persone fino a portare la fatica di chi fatica a vivere e a credere; che siano consolazione per chi è provato e ferito dalla vita, che siano capaci di dare ragioni per sperare. La cura delle relazioni e la tenerezza nel modo di presentarci, ci facciano sentire compagni di viaggio e amici dei poveri e dei sofferenti”.
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