Fabriano , 12 May, 2022 / 9:00 AM
“Grande gioia per la Chiesa di Fabriano-Matelica che apprende la notizia della beatificazione di suor Costanza Panas. Per la nostra diocesi e tutta la Chiesa questa notizia è un grande dono che ci sprona a vivere questo segno provvidenziale con gratitudine al Signore e verso il Santo Padre che ha autorizzato la Congregazione delle cause dei Santi a promulgare il decreto riguardante il miracolo attribuito all’intercessione della Venerabile Serva di Dio Maria Costanza Panas, monaca professa delle Clarisse Cappuccine del Monastero di Fabriano… Questa bellissima notizia coincide con gli sforzi individuali e collettivi della nostra comunità per risollevarsi da un periodo storicamente difficile come è stato quello del dopoguerra per Madre Costanza sempre al servizio dei più deboli”.
Così lo scorso febbraio il vescovo di Camerino-San Severino Marche, amministratore apostolico e vescovo eletto di Fabriano – Matelica, mons. Francesco Massara, ha dato la notizia della prossima beatificazione di suor Maria Costanza Panas per una guarigione miracolosa, avvenuta il 29 novembre 1985, ad una neonata affetta da ‘grave sofferenza fetale da anemia feto-natale ed emorragia cerebrale, con insufficienza multiorgano ‘ all’Ospedale ‘Salesi’ di Ancona.
Agnese Pacifica nacque il 5 gennaio 1896 ad Alano di Piave (Belluno). I genitori nel 1902 emigrarono negli Stati Uniti in cerca di lavoro e la affidarono ad un zio sacerdote fino al loro ritorno nel 1910. Dopo gli studi a Feltre e Vicenza, si diplomò maestra a Venezia nel 1913 e quattro anni dopo, vincendo la strenua resistenza della famiglia, entrò nel monastero delle clarisse cappuccine di Fabriano, nelle Marche. Fuori dall’ordinario era invece il profumo spirituale che emanava, come è evidenziato da un profilo ufficiale scritto dai frati cappuccini:
“Per molti anni accolse le persone che bussavano al monastero, prediligendo i sacerdoti, alcuni dei quali divennero suoi figli spirituali e allargando l’apostolato attraverso la grata conventuale con una fitta corrispondenza. Accoglieva senza mai dare la sensazione di fretta, dava tempo, ascoltava con interesse e consigliava con sicurezza donando serenità. E il tutto senza darsi toni da maestra o da super donna, ma con una umanità piena… A coloro che andavano da lei insegnava il modo di mantenere la serenità e la pace in mezzo ai propri limiti e debolezze e ad avere comprensione con se stessi”. Morì il 28 maggio 1963.
A suor Michela Letizia Argiolas del monastero di san Romualdo delle Clarisse Cappuccine, trasferitesi qualche anno fa da Fabriano, in provincia di Ancona, a Primiero San Martino di Castrozza, in provincia di Trento, abbiamo chiesto di raccontarci le loro ‘emozioni’ a tale notizia: “Di grande gioia per tutti. Madre Costanza ha vissuto nel monastero delle Clarisse Cappuccine di Fabriano sino al 1963, anno della sua morte. L’ordine delle Cappuccine è di vita contemplativa, ma la clausura non le ha impedito di essere punto di riferimento per tanti che si avvicinavano al monastero. E’ stata guida spirituale di diversi preti della diocesi di Fabriano e consigliera di tante persone, nonché guida della comunità per tanti anni. Per questo la città la ricorda con affetto e la prossima beatificazione sarà anche l’occasione per far conoscere questa figura anche a chi non l’ha mai incrociata nel proprio cammino”.
Quale ‘profumo spirituale’ emanava la beata?
“L’espressione ‘profumo spirituale’ si addice benissimo a madre Costanza. Il profumo non è solo qualcosa di molto gradevole, ma si espande. La sua vita è stata proprio questo: dal monastero cappuccino, nel quale si professa la Regola di santa Chiara, ha costruito una tela di relazioni spirituali con laici, presbiteri, monache dell’Ordine Cappuccino e di altri istituti. Cercava di mettere in pratica quello che diceva, quello a cui esortava. E’ un pò la caratteristica dei santi, una consonanza tra quanto si vive e quanto di dice o si consiglia. Dalla spiritualità francescana aveva assimilato che l’umiltà è la via maestra per fare spazio al Signore. Egli deve crescere e io diminuire è un’espressione evangelica che l’ha guidata ed è stata la base di tutta la sua vita spirituale”.
Cosa voleva dire accoglienza per la beata?
“L’accoglienza è un tratto umano e spirituale che Madre Costanza ha esercitato dentro e fuori del monastero. Ella dedicava tanto tempo all’ascolto. Senza dubbio ascolto e accoglienza sono strettamente legati in lei. Sapeva portare il peso delle confidenze espresse durante i colloqui, questo è riscontrabile dalla corrispondenza e dalle testimonianze. Il suo era un ascolto che orientava sempre verso Dio. Era solita lasciare bigliettini ai suoi interlocutori, nei quali scriveva appunti personali che in realtà erano delle meditazioni spirituali. Ella scriveva tanto; prima di entrare in monastero aveva fatto il voto della penna. Si era impegnata a scrivere solo di Gesù e la sua fitta corrispondenza spirituale testimonia la fedeltà a questo voto.
Come viveva l’ascesi?
“Madre Costanza era una donna esigente con sé stessa, perché desiderava che Dio fosse tutto per lei. Nel mio nulla, ella diceva, Dio può compiere meraviglie. Il rinnegamento del proprio io era alla base dell’umiltà, costituiva il terreno fecondo per poter seminare i semi del regno di Dio. L’ascesi cristiana, però, ha sempre una sorella maggiore che è la carità: senza l’amore, che è il fine della vita cristiana, anche l’ascesi può diventare una pericolosa forma di narcisismo spirituale. La carità quotidiana, quella dei gesti giornalieri, ripetuti, che danno corpo all’ascesi e dilatano il cuore, è quella che esercitava madre Costanza. Si privava del cibo e delle cose migliori per donarle alle sorelle, soprattutto in momenti di penuria. Esercitava il ministero della consolazione, quando le inevitabili difficoltà della vita toccavano la comunità o le singole sorelle”.
Come poteva essere lieta nella sofferenza?
“Madre Costanza è stata colpita da un’artrite deformante che le ha impedito compiere le normali azioni quotidiane. Anche di fronte alle sofferenze altrui, fisiche o spirituali, la sua medicina era l’abbandono confidente in Dio. Termino con le sue parole: gettiamoci nello sconfinato oceano dell’amore divino, non ci saziamo di ripetere all’anima nostra depressa dal peso di sé stessa: è un Dio che ti ama e non può amare che da Dio!”
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