Roma, 16 December, 2021 / 11:00 AM
Ormai tutti gli psicologi sono d’accordo: stare insieme alla famiglia a casa propria fa male. Ma è davvero cosi? Forse si sta male perché non si sa stare insieme si potrebbe pensare, perché la famiglia non funziona a prescindere da come e dove vive. E magari la soluzione non è uscire tutti, ma piuttosto trovare la soluzione dentro la famiglia e nella fede, nella preghiera.
Della casa come luogo privilegiato per l’esperienza della preghiera e dell’essere e fare chiesa si è parlato nella giornata di studio promossa dalla Facoltà Teologica del Triveneto.
Lo “spiazzamento” indotto dalla pandemia, ha permesso spazi dove essere e fare Chiesa e dove pregare. La casa si è rivelata un luogo privilegiato, in questa dimensione che ha sovvertito abitudini e riti. Il titolo della giornata di studio è significativo: “Spezzavano il pane nelle case (Atti 2,46)” Vivere lo spazio della casa come tempo di chiesa.
Si è partiti dall’ esperienza di Massimo Zancan e Giorgia Caleari, vicentini, scout Agesci, 25 anni di matrimonio e tre figli che hanno presentato il loro percorso fatto durante il tempo di pandemia con un gruppo di famiglie. “L’esperienza della preghiera fatta nelle case ha in generale una intensità diversa, tanto più durante il lockdown quando tutta la famiglia era in casa e anche i bambini partecipavano e intervenivano. Certo, si perde la coralità del pregare, ad esempio i salmi, e anche il contatto diretto, fisico, con il libro delle Scritture, sostituito dal formato digitale; ma alcuni momenti, come lo spezzare insieme, ciascuno nella propria casa, il pane benedetto dal sacerdote in collegamento online restituisce una dimensione ecclesiale, il sentirsi veramente parte della Chiesa e liturgica con la ritualità che conserva la sua valenza simbolica e allo stesso tempo è un gesto concreto, ripetuto in ogni famiglia. Quel pane vero, spezzato e mangiato in quel momento, sacralizzava la nostra casa e dava sapore e valore al pane mangiato nei giorni successivi. Ci ha fatto ritrovare senso e speranza”.
Insomma una profondità della preghiera che non andrebbe persa a causa dei ritmi convulsi della vita così detta “normale”.
Padre Oliviero Svanera, docente della Facoltà teologica del Triveneto ha dato una lettura teologica : “La casa è il luogo in cui si impara a condividere il nascere e il morire, la gioia e il dolore; a distinguere il bene dal male, ad ascoltare e a perdonare; in una parola, si impara ad amare E attraverso la mediazione della famiglia come chiesa domestica la chiesa diventa famiglia di Dio, una casa di famiglia e delle famiglie”.
Ed ha aggiunto: “nel cristianesimo delle origini la casa è il luogo dove si origina la vita nuova: si annuncia il vangelo, si fa comunità, si coglie la pienezza del battesimo; è il luogo dove nasce la vita cristiana e dove si testimonia il messaggio evangelico nei segni della condivisione, dell’ospitalità e del servizio reciproco. Nella casa si impara la fede e la si custodisce”.
Per integrare la dimensione familiare con la dimensione ecclesiale entra in gioco la ministerialità degli sposi e dei genitori in una sorta di “catechesi vivente”: “Nelle loro case i coniugi sono sacerdoti e la vita familiare è culto. Il compito educativo dei genitori è un vero ministero e consiste nel mediare il senso della fede attraverso i gesti quotidiani”.
La “fatica” oltre alla gioia tra le mura domestiche è stata raccontata da Gigi De Palo, presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari, e dalla moglie Anna Chiara Gambini, genitori di cinque figli. Il segreto per superare la baraonda di tante persone chiuse in casa per tre mesi durante il lockdown è stata la ricerca di trasformare ogni tempo in un tempo nuovo, in pratica una opportunità.
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