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Un servizio di EWTN News

Parolin: "Leader religiosi siano costruttori di pace". Papa in Africa? "Nessuna paura"

Il Cardinale Pietro Parolin con Papa Francesco dopo una Congregazione dell'ultimo Sinodo dei Vescovi

“Tante cose sono cambiate” con la Nostra Aetate. Un bilancio? “È stato dato uno slancio forte al dialogo interreligioso” e questo è anche il “merito” del documento frutto del Concilio Vaticano II. Il Segretario di Stato Pietro Parolin è giunto ieri sera all’Università Gregoriana per il suo intervento.

Alle domande dei giornalisti risponde volentieri prima di entrare in aula, qualche scambio rapido anche dopo. E con i cronisti parla di dialogo e di pace, i due capisaldi riaffermati ieri mattina nell’udienza interreligiosa in piazza San Pietro presieduta da Papa Francesco.

Ci sono problemi nell’affrontare il complesso tema del dialogo? Quando si “comincia”, certamente “si trovano le difficoltà – le parole del Cardinale -, ma la spinta e la motivazione c’è. E la Chiesa Cattolica continua ad andare avanti con questa spinta e questa motivazione”. Certo, con realtà come l’Isis è difficile, perché “il dialogo si fa con chi accetta di fare il dialogo, con chi entra in relazione. Non con chi è per nulla sensibile o chi rifiuta il dialogo. Non credo che con i fondamentalismi sia possibile dialogare. Si può offrire di dialogare, ma non vedo possibilità che si stabilisca un dialogo”.

La religione non può essere un muro al dialogo, anzi deve alimentare i processi, “è fondamentale”. E soprattutto i leader religiosi hanno “una grande responsabilità” nel “trovare le condizioni” ma “la pace in fondo nasce dal cuore dell’uomo, da un cuore pacificato, in pace con Dio, con il prossimo e con sé stesso”.

Ci sono situazioni in cui “la violenza è giustificata nel nome di Dio e i leader religiosi – spiega Parolin - hanno un grande dovere e una grande responsabilità nell’affermare questo non è vero e nel chiamare gli appartenenti alle varie ad essere costruttori di pace”.

Il caso Siria? E’ il tipico esempio dove “la pace è possibile se ci sono persone disposte a costruire la pace”, perché questa “non è automatica”. L’auspicio del capo della diplomazia vaticana è che ci siano “persone che pur nelle difficoltà di una situazione tanto complicata cercano di ricomporre i fili della pace”, senza cedere alla “volontà di contrapposizione e di sopraffazione”, ritrovando un “senso di responsabilità”.

Impossibile non pensare al prossimo viaggio di Papa Francesco, in un’Africa povera che cerca il riscatto, vedi i casi di Kenya e Uganda, ma anche in un Paese dove la guerra è ancora per le strade, come accade nella Repubblica Centrafricana. Per questo, “preoccupazione c’è”, ammette Parolin. Ma, aggiunge speranzoso, ”immagino che se il Papa va ci sono anche le condizioni perché il Papa possa andare. Questi fenomeni sono sotto controllo, almeno in occasione della visita del Papa. Quindi che il fatto che il viaggio si realizzi significa che ci sono le condizioni minime perché il Papa possa andare e possa rimanere lì il tempo necessario a compiere il programma”.

Ma il Papa ha paura? “Non credo che il Papa abbia paura”, risponde il Cardinale ai giornalisti: “Non andiamo in mezzo alla battaglia”, dice sorridendo. Poi “il Papa trova il coraggio nella sua fede e nel suo amore”. Di più: “Ha voluto che il viaggio in Africa fosse caratterizzato dalla visita alla Repubblica Centrafricana per la situazione di conflitto in cui si trova perché pensa che andare lì e dire una parola ai cristiani e ai cattolici ma anche a tutte le parti coinvolte possa essere un contributo grande per la costruzione della pace, quindi è pronto ad affrontare anche eventuali rischi”.

E i rapporti con la Cina? Parolin parla della delegazione che si recherà a Pechino e spiega: “Non è la prima volta” e “fa parte di un certo percorso in vista di una normalizzazione dei rapporti”. “Il solo fatto di poterci parlare - ha aggiunto poi - è un passo significativo. Non facciamo pronostici. Tutto quello che si fa, lo si fa in vista di trovare un’intesa e per avere relazioni normali con la Cina e Pechino, come le si hanno con la stragrande maggioranza dei Paesi del mondo. Dialogare è una cosa positiva”.

Sui frutti del Sinodo, il Cardinale precisa che per giungere ad un documento del Papa “i tempi non saranno lunghissimi perché queste cose si devono fare in tempi relativamente brevi perché altrimenti perdono la loro forza e il loro impatto. Penso che se il Papa si decide, lo farà in tempi relativamente brevi”.

“Il Sinodo - ha aggiunto il Segretario di stato - consegnando il messaggio, ha anche prospettato la possibilità di tradurlo in un documento pontificio come è avvenuto normalmente per tutti i Sinodi. I padri sinodali offrono una serie di riflessioni conclusive al Papa che poi il Papa fa sue attraverso un documento. Penso che anche questa volta possa succedere così, benché non si è ancora parlato di nulla in questo senso. È il Papa che deve decidere che cosa fare. Il Papa ha già preso una decisione importante che è stata quella di pubblicare la relazione conclusiva del Sinodo. Di per sé era diretta a lui però il Papa ha voluto che fosse conosciuta e divulgata”.

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