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Vittorio Trancanelli, le mani di Dio in sala operatoria

Vittorio Trancanelli, le mani di Dio nella sala operatoria. Una professione che è vocazione. Uomo di profonda fede cattolica, medico che non si risparmia mai anche nella malattia, divenendo così testimone di come vivere Cristo vivo anche sulla Croce.

Nella sofferenza dei pazienti cercherà di essere soprattutto carezza di Misericordia, di bontà del Signore anche nella prova. Una carezza che  - assieme alla moglie Lia Sabatini e ad altre cinque famiglie - estenderà anche ai bambini accolti nell’associazione “Alle Querce di Mamre” che continua, ancora oggi, il progetto di Vittorio: cinque famiglie aperte all’accoglienza di donne e bambini in difficoltà provenienti da tutte le parti del mondo, senza nessuna distinzione di cultura e di religione. Una personalità affascinante quella di Trancanelli, legata all’Ospedale di Santa Maria della Misericordia di Perugia, luogo dove ha condotto la sua missione. 

Aci Stampa, per conoscere meglio la sua figura, ha chiesto al postulatore della causa di canonizzazione, il dottor Enrico Graziano Giovanni Solinas, di raccontarci la vita di questo dottore conosciuto già da tutti come “il santo in sala operatoria”.

Dottor Solinas, quali sono le tappe fondamentali della biografia di Vittorio Trancanelli?

Vittorio nasce a Spello, dove la famiglia si era rifugiata a causa della guerra. Nasce  il 26 aprile del 1944. Da Spello, poi si trasferirà a Petrignano d’Assisi, comune vicino Perugia, dove compie i suoi studi fino alla maturità ad Assisi presso il Liceo Classico “Properzio”.  Si laurea, brillantemente, in Medicina e Chirurgia all’Università di Perugia. A ventuno anni si sposa con Lia Sabatini che aveva conosciuto anni prima, l’amore della sua vita.  I due giovani si trasferiscono a Perugia e nel 1976, un mese prima della nascita di Diego, unico figlio naturale, Vittorio si ammala gravemente di colite ulcerosa con peritonite diffusa e si salva per puro miracolo. Ma da quell’operazione rimarrà segnato per sempre, dovendo da allora e fino alla morte, portare una ileostomia. Solo sua moglie Lia e alcuni colleghi medici erano a conoscenza di tale “sacrificio” che Vittorio porta sempre senza mai lamentarsi. Vittorio lo definirà “la sua spina nella carne”.  Dopo un anno Vittorio guarisce e riprende a lavorare in maniera sempre più serrata. Negli anni ‘80, nasce grazie ai due coniugi, l’associazione che chiamerà “Alle Querce di Mamre” per l’accoglienza di donne e bambini in gravi difficoltà. Dopo un periodo di fervido impegno professionale è colpito di nuovo da una grave malattia che lo porterà alla morte il 24 giugno 1998.  

Entriamo, ora, nella personalità di Vittorio Trancanelli.  Quali parole le verrebbero subito in mente?

La prima parola è senza dubbio: servizio.  Per Vittorio Trancanelli curare il malato voleva dire servire Dio. Voleva dire preghiera. Ha vissuto l’intera esistenza accanto ai suoi pazienti con dedizione completa, grande professionalità e una umanità sempre pronta ad accogliere il Cristo sofferente che vedeva negli ammalati. E, anche quando il male lo aveva colpito in prima persona, sulla propria pelle, non si stancava mai di essere sempre in prima linea. Sono tante le testimonianze che ho avuto modo di raccogliere in merito. Ogni volta che le rileggo, mi sorprendo della forza di quest’uomo che non poteva che attingere alla fonte immensa che è Dio. Il suo lavoro da chirurgo in sala  potrebbe essere paragonato - quasi per metafora - al sacerdote che celebra la messa. Trancanelli era un medico, un uomo semplice che nella sua quotidianità viveva la Parola facendola divenire carne. 

E a proposito della Parola, qual era il suo rapporto con la Sacra Scrittura? 

Trancanelli era un fine studioso della Scrittura e della lingua ebraica. Questo rapporto scientifico, direi, con la Parola sicuramente lo ha aiutato ancora di più ad assimilare ogni piccolo passaggio biblico per poterlo vivere in prima persona nella sua vita di tutti i giorni.

Vittorio Trancanelli, nella sua vita, ha vissuto profondamente anche un’altra vocazione: quella di padre. Un padre, però, un po’ speciale, potremmo definirlo. Vittorio, infatti, è stato il papà di tanti bambini in affido. E’ la storia affascinante dell’Associazione “Alle Querce di Mamre” nata dalla volontà di Vittorio e della moglie Lia Sabatini. Può inoltrarci meglio in questa storia?

Vittorio e Lia hanno vissuto il Sacramento del Matrimonio in un dialogo continuo con il Signore, invitandolo sempre nella loro casa, si potrebbe dire. Casa Trancanelli era una vera e propria “Chiesa domestica”, espressione tanto cara al nostro pontefice Francesco. Ma l’”Associazione alle Querce di Mamre” è come se avesse dato la possibilità a Vittorio di vivere ancora più forte il senso dell’accoglienza che già viveva come dottore all’Ospedale di Santa Maria della Misericordia di Perugia. Una chiamata particolare quella di Vittorio - da vivere assieme alla moglie Lia - di poter essere il punto di riferimento di molti bambini provenienti da tutto il mondo. 

Qual è l’eredità di Vittorio Trancanelli?

Direi vivere il proprio lavoro alla luce del Vangelo. La santità dei laici è molto importante in questo particolare momento storico. Vittorio ci insegna a fare il proprio lavoro, con amore, dedizione, passione, umanità e umiltà. La sua vita, sembra una vita ordinaria, in fondo.  Ma quell’ordinario, Vittorio, lo ha reso straordinario. E’ la santità del nostro secolo.  I santi non sono lontani da noi e tutti possiamo seguirli nelle loro strade, ognuno di noi nella propria condizione che sia religiosa o che sia laica. Vittorio, inoltre, ci ha lasciato la via maestra della sua santità: “Io mi fido di Dio”, diceva sempre. Lui, si fidava veramente di Dio. 

 

 

 

 

 

 

 

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