Città del Vaticano , 18 August, 2021 / 9:29 AM
“Ci farà bene chiederci se viviamo ancora nel periodo in cui abbiamo bisogno della Legge, o se invece siamo ben consapevoli di aver ricevuto la grazia di essere diventati figli di Dio per vivere nell’amore”. Papa Francesco lascia questa domanda sospesa, al termine dell’udienza generale che è parte del ciclo sulle lettere di San Paolo e che si è concentrata su un passaggio della lettera ai Galati, e sul “valore propedeutico della Legge”.
Aula Paolo VI, terza udienza generale di Papa Francesco dopo la pausa estiva e l’operazione che lo ha tenuto in ospedale per dieci giorni ad inizio luglio. È una calda giornata di agosto fuori, e l’Aula garantisce un po’ di riparo dal sole.
Papa Francesco ricorda che San Paolo ha detto che i discepoli di Cristo “non stanno sotto il vincolo della Legge, ma sono chiamati allo stile di vita impegnativo nella libertà del Vangelo”.
Quale è stato il ruolo della Legge, dunque? Seguendo San Paolo, Papa Francesco richiama alla legge “come un pedagogo”, e mette in luce che “l’Apostolo sembra suggerire ai cristiani di dividere la storia della salvezza, e anche la sua storia personale, in due momenti: prima di essere diventati credenti e dopo avere ricevuto la fede”.
Tra i due eventi, al centro, c’è la morte e resurrezione di Gesù, che crea “un prima e un dopo” della stessa Legge. Prima – spiega San Paolo – si era sotto la legge, una espressione cui il Papa attribuisce il significato sotteso di “un asservimento negativo, tipico degli schiavi”, in cui ci si trova “sorvegliati” e “rinchiusi”, in una “specie di custodia preventiva”. Un tempo che “è durato a lungo e si perpetua finché si vive nel peccato”.
Sintetizza Papa Francesco: “La Legge porta a definire la trasgressione e a rendere le persone consapevoli del proprio peccato. Anzi, come insegna l’esperienza comune, il precetto finisce per stimolare la trasgressione”.
Perché la legge allora è un pedagogo? Spiega Papa Francesco: “Nel sistema scolastico dell’antichità il pedagogo non aveva la funzione che oggi noi gli attribuiamo, vale a dire quella di sostenere l’educazione di un ragazzo o di una ragazza. All’epoca, si trattava invece di uno schiavo che aveva l’incarico di accompagnare dal maestro il figlio del padrone e poi riportarlo a casa. Doveva così proteggerlo dai pericoli e sorvegliarlo perché non assumesse comportamenti scorretti”.
Aveva, insomma, una “funzione disciplinare”, che terminava quando il ragazzo diventava adulto. Definendola un “pedagogo”, continua Papa Francesco, il Papa chiarifica il ruolo della Torah, “un atto di magnanimità da parte di Dio nei confronti del suo popolo”, che aveva “avuto delle funzioni restrittive, ma nello stesso tempo aveva protetto il popolo, lo aveva educato, disciplinato e sostenuto nella sua debolezza”.
Ma per l’Apostolo “la Legge possiede certamente una sua funzione positiva, ma limitata nel tempo. Non si può estendere la sua durata oltre misura, perché è legata alla maturazione delle persone e alla loro scelta di libertà. Una volta che si giunge alla fede, la Legge esaurisce la sua valenza propedeutica e deve cedere il posto a un’altra autorità”.
Aggiunge il Papa: “I comandamenti ci sono, ma non ci giustificano. Quello che ci giustifica è Gesù Cristo. I comandamenti non ci danno la giustizia, c’è la gratuità di Gesù Cristo che ci giustifica gratuitamente”.
Papa Francesco chiede allora di considerare questo insegnamento sul valore della legge “con attenzione, per non cadere in equivoci e compiere passi falsi”.
Conclude Papa Francesco: "Come vivo io? Nella paura che se non faccio questo andrò o all'inferno o nella gioia della salvezza di Gesù Cristo? Disprezzo i comandamenti? No, li osservo, ma non con l'assoluto, perché quello che ci giustifica è Gesù Cristo".
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