Roma, 08 July, 2021 / 2:00 PM
Don Luigi Maria Epicoco è uno dei sacerdoti più ricercati del web, anche se non è un influencer che utilizza i social media per la promozione; insegna filosofia alla Pontificia Università Lateranense e all’Issr ‘Fides et Ratio’ dell’Aquila. Il suo nuovo libro si intitola ‘La pietra scartata. Quando i dimenticati si salvano’, dove l’essenzialità dei ‘non protagonisti’ per realizzare la storia della salvezza invita, per trovare Dio, a guardare nelle pieghe della storia e nei dettagli del quotidiano:
“Cristo non è figlio di persone conosciute ma di povera gente, e tutta la sua vita è un prendere dalla periferia, partendo dai margini e ponendoli al centro. Questo metodo, con cui Gesù procede nella vita e nell’annuncio del Vangelo, è vero anche nella vita spirituale. Per cui è indispensabile avere la capacità di mettere al centro dell’esistenza ciò che normalmente lasciamo ai margini”.
La maggior parte dei testi sono appunti di incontri, conferenze, esercizi spirituali: “Provengo da una famiglia cristiana non praticante, da piccolo ero l’unico che frequentava l’ambiente cristiano e ho dovuto cercare di rendere semplici cose difficili per capirle. Anche oggi, quando scrivo, mi rivolgo a me bambino”.
Perché un libro sulla pietra scartata?
“Questo libro nasce da un corso di esercizi spirituali tenuto a laici e sacerdoti ad Assisi, in quant nella terra di san Francesco mi piaceva parlare dello scarto, come Gesù lo tratta nel Vangelo. Nella Bibbia ci sono molti personaggi che sembrano non essere protagonisti, che alla fine lo diventano grazie all’opera della redenzione. Questo libro nasce per raccogliere quelle giornate di esercizi spirituali ad Assisi”.
Nella Bibbia quanto è importante la pietra scartata?
“E’ molto importante perché la Bibbia non racconta storie di eroi, ma storie di gente molto semplice
e con difetti. E proprio a partire dalla loro debolezza incontrano Dio e si inseriscono nella storia della salvezza. Gesù è colui che si mostra nella fragilità della condizione umana. Anche lui si fa scarto sulla croce. Quindi nella Bibbia il tema della pietra scartata è un tema centrale”.
Pietre scartate possono considerarsi i giovani: come raccontare loro la Chiesa attraverso i social?
“I social media sono un alfabeto, attraverso cui è possibile annunciare il Vangelo. Essendo un alfabeto, esso può raccontare storie belle o brutte; può condividere la luce od il buio. Certamente i
social diventano un luogo importante, attraverso cui possiamo mostrare la luce del Vangelo, soprattutto non tanto diffondendo informazioni, quanto mostrando la bellezza di un’esperienza. La grande lezione che ha insegnato papa Benedetto XVI e ci ricorda papa Francesco: se non si vedono la bellezza e la gioia del nostro essere cristiani, e non si vedono anche attraverso i social, vuol dire che abbiamo fallito un po’ anche nell’evangelizzazione”.
Perché i giovani pongono domande di senso?
“Sono le domande attraverso le quali ognuno cerca se stesso, il proprio posto nel mondo. C’è una grande sete di spiritualità, approcci new age individualisti ed emotivi trovano terreno fertile, ma la
fede cristiana è diversa, perché privilegia l’ottica del dono e rispetto al riempimento del proprio vuoto esistenziale. Veniamo educati dalla società a vivere secondo i nostri bisogni, ad aumentare i consumi, mentre dovremmo seguire i nostri desideri, guardandoci bene dentro. Non esiste una tecnica, non è possibile scrivere manuali. Io provo semplicemente a offrire mappe esperienziali”.
Quale è il modo per annunciare ai giovani la speranza dopo questa ‘chiusura’ pandemica?
“Mostrando che insieme al bicchiere mezzo vuoto esiste il bicchiere mezzo pieno, perché in mezzo alle difficoltà ci sono state persone che hanno fatto la differenza. Occorre cercare con pazienza di
indicare il bene, mentre intorno a noi sembra esserci il male. E’ un lavoro paziente, perché in fondo la Resurrezione non è mai un evento immediato. C’è bisogno della mediazione e di un’attenzione particolare. Solo dopo un po’ di tempo i discepoli e le persone coinvolte si accorgono della Pasqua. Così, anche nel nostro tempo, dobbiamo avere la pazienza di accorgerci che c’è del bene nascosto anche in tutto questo buio”.
Come è sorta la sua passione per i social?
“In realtà nasce per necessità: dopo il terremoto del 2009 a L’Aquila era l’unica maniera attraverso cui potevo continuare ad avere una relazione con i ragazzi della parrocchia universitaria, di cui ero
parroco. Da quella necessità si è aperto un orizzonte, che ha coinvolto non solo quei giovani, ma migliaia di altre persone. Non ho iniziato a lavorare sui social con l’intento di divulgare. Ero parroco a L’Aquila nella parrocchia universitaria e dopo il terremoto del 2009 i miei ragazzi erano
sparsi per ogni dove. Per raggiungerli ho aperto un primo profilo Facebook: dopo aver celebrato la Messa (spesso da solo), scrivevo e condividevo qualche riga sul Vangelo del giorno. E poi, sempre
pensando ai ragazzi, ho iniziato a registrare piccoli video per la domenica, che qualcuno ha raccolto insieme alle registrazioni degli incontri e dei seminari cui partecipavo. Tutto è diventato virale, e
molti hanno iniziato a seguire. Il merito, però, non è il mio: è il Vangelo a essere virale perché intercetta ancora il cuore, continua a essere attuale, tocca l’umanità nel profondo”.
Recentemente papa Francesco lo ha nominato assistente ecclesiastico del Dicastero per la Comunicazione ed editorialista de L’Osservatore Romano: in cosa consiste?
“Io credo che abbia lo stesso ruolo che, durante una partita di calcio possono avere i fisioterapisti, i medici a bordo campo, o gli allenatori, cioè coloro che sono lì, non giocano la partita, ma si
occupano in qualche maniera della cura di chi gioca, di chi vive la partita in prima persona. Il Dicastero della Comunicazione è fatto di persone competenti che mettono il cuore e la loro professionalità a servizio, non solo del Dicastero ma della Chiesa tutta. Io credo che questa nomina
del Papa voglia essere un aiuto ulteriore ad accompagnare questa competenza e questa efficacia”.
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