Yangoon, 23 June, 2021 / 9:00 AM
“Unisco la mia voce a quella dei Vescovi del Myanmar, che la scorsa settimana hanno lanciato un appello richiamando all’attenzione del mondo intero l’esperienza straziante di migliaia di persone che in quel Paese sono sfollate e stanno morendo di fame: ‘Noi supplichiamo con tutta la gentilezza di permettere corridoi umanitari’ e che ‘chiese, pagode, monasteri, moschee, templi, come pure scuole e ospedali’ siano rispettati come luoghi neutrali di rifugio. Che il Cuore di Cristo tocchi i cuori di tutti portando pace nel Myanmar!”.
Con questo appello al termine dell’Angelus di domenica 20 giugno papa Francesco ha invitato a pregare per la pace nello stato birmano a cinque mesi dal golpe militare, che ha destituito Aung Sa Suu Kyi, ribadendo il suo sostegno all’appello dei vescovi locali che, lo scorso venerdì 11 giugno, chiedevano di tutelare i corridoi umanitari nelle zone di conflitto, rispettare la sacralità dei luoghi di culto e salvaguardare la sicurezza dei civili, soprattutto anziani e bambini.
Infatti nell’appello pubblico, la Conferenza episcopale del Myanmar, guidata dal card. Charles Bo, chiedeva di difendere la vita di un popolo e, al tempo stesso, denunciava la situazione di ‘migliaia di persone che muoiono di fame e malattie nelle giungle’, senza un riparo adeguato, senza cibo e acqua pulita. Inoltre i militari, dopo aver colpito chiese e monasteri dove gli sfollati avevano cercato riparo dagli attacchi alle loro case, sono passati a colpire direttamente gli aiuti umanitari destinati a chi si trova nella foresta, distruggendoli e incendiandoli, così come con le forniture mediche per i rifugiati.
E nella scorsa settimana anche l’Assemblea generale dell’Onu ha votato una risoluzione che chiede agli Stati membri di ‘prevenire l’afflusso di armi’ in Myanmar approvato con 119 voti favorevoli e il solo voto contrario della Bielorussia; 36 Paesi tra cui Cina e Russia si sono astenuti.
Nella risoluzione la giunta militare è espressamente condannata per il colpo di stato del 1 febbraio scorso che ha rovesciato l’esito delle elezioni, vinte dalla Lega nazionale per la democrazia (Lnd) di Aung San Suu Kyi. Secondo i dati dell’Associazione per l’assistenza ai prigionieri politici sono quasi 5000 i dimostranti arrestati dall’inizio delle proteste contro il golpe e 870 le persone uccise.
Per comprendere meglio la situazione abbiamo chiesto al missionario del Pime, p. Gianni Criveller, preside dello Studio Teologico Missionario del PIME di Monza, di raccontarci la situazione in Myanmar: “Dal 1 febbraio il popolo del Myanmar è tornato nell’incubo della repressione e della violenza. La criminale giunta militare ha disconosciuto i risultati delle elezioni democratiche del novembre 2020; ha sciolto il governo civile e arrestato la leader Aung San Suu Kyi. La gente è scesa in piazza, opponendosi al colpo di stato, resistendo pacificamente. Quasi mille persone inermi, in gran parte giovanissime e persino una cinquantina di bambini, sono state uccise. Tra di loro numerosi cristiani. Tragica è la situazione dei popoli Kachin, nel nord del Paese, e dei Careni nello stato centrale di Kayah”.
Perché in Myanmar la Chiesa è nel mirino dei militari?
“I cattolici sono solo una minuscola minoranza, ma hanno una coscienza della dignità della persona umana, del primato della coscienza e del bene evangelico della libertà, il cui autore è lo stesso Gesù. La foto di Suor Ann Rose, ritratta davanti al plotone della polizia, è diventata il simbolo del movimento popolare del Myanmar. Disse: ‘Uccidete me e non la gente’. Forse per i loro legami internazionali, i cattolici sono temuti. Giovani cattolici sono stati uccisi e feriti per il loro impegno pacifico. Chiese e cattedrali sono attaccate. Sono migliaia i fedeli cattolici che hanno abbandonato le case e sono in fuga per la loro salvezza. I conventi di suore raccolgono e proteggono molte di loro, ma ora neanche loro sono un luogo sicuro. Numerose suore birmane in Italia sono in angoscia per la sorte delle loro famiglie”.
Nella celebrazione eucaristica della festa dell’Ascensione papa Francesco aveva invitato il popolo del Myanmar a custodire la fede: in quale modo fedeli birmani portano avanti tale impegno?
“I fedeli cattolici possono custodire la loro fede guardando a Gesù, che ha dato la sua vita per gli altri. Molti giovani birmani sono disposti a morire piuttosto che vivere senza la libertà. I cristiani non desiderano il martirio, né lo cercano. Ma lo accettano per rimanere fedeli a Gesù. Questa, per la chiesa Birmana, è l’ora della confessione della fede, della testimonianza coraggiosa e del martirio. I cattolici sono accanto ai fedeli buddhisti per la libertà e la pace. Come aveva indicato Giovanni Paolo II, il dialogo tra credenti di diverse fedi è per la pace tra i popoli. I cristiani e i buddhisti sono in strada non con le armi, ma con la corona del rosario e il pa-deé buddhista. Sono un esempio meraviglioso per la chiesa nel mondo”.
Quale è il ruolo della Chiesa per riportare la riconciliazione?
“La chiesa desidera il dialogo anche con gli avversari più ostinati e persino con i persecutori. La chiesa annuncia il vangelo della pace, della riconciliazione e del perdono. Lo fa rimanendo fedele al vangelo di giustizia, non con compromessi mondani e calcoli politici. Il card. Charles Maung Bo di Yangon e i vescovi del Myanmar condannano fermamente le violenze e invocano il dialogo e la riconciliazione. Questo è il loro compito come pastori della chiesa. Nei movimenti popolari delle Filippine nel 1986; della Corea del Sud nel 1987 e di Hong Kong in questi ultimi due anni i vescovi hanno parlato e agito con coraggio. In Myanmar nei scorsi mesi le religiose, i fedeli e i presbiteri sono in gran parte scesi sulle strade a fianco del popolo”.
Quale rapporto ha il Pime con il Myanmar?
“I missionari del Pime evangelizzano in Myanmar dal 1868: è una delle nostre missioni storiche. Fratel Felice Tantardini, sepolto a Taunggyi, è considerato un santo dal popolo cattolico. In Myanmar hanno speso la loro vita i beati Clemente Vismara, Alfredo Cremonesi, Paolo Manna e Mario Vergara, quest’ultimo beatificato con il catechista Isidoro Ngei Ko Lat. Personalmente mi reco in Myanmar dal 2018, per contribuire al programma formativo dei seminari diocesani”.
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