Città del Vaticano , 02 April, 2021 / 10:07 PM
Solo la benedizione, e un saluto breve a tre bambini fatti salire sul Sagrato della Basilica di San Pietro e poi ad altri sulla via del rientro in basilica, al termine della Via Crucis che anche quest’anno non si è svolta al Colosseo, per via delle restrizioni da coronavirus. Papa Francesco mantiene l’appuntamento tradizionale del Venerdì Santo, presiede la celebrazione della Via Crucis, e centra tutto proprio sulle 14 stazioni e sulle meditazioni scritte dai bambini.
Quelle di quest’anno sono meditazioni scritte da bambini e da ragazzi: i primi, della parrocchia romana dei Santi Martiri di Uganda, una realtà molto nota anche per la sua pastorale dei disabili; il secondi, quelli del gruppo AGESCI di Foligno, in Umbria, lì dove gli scout sono stati guidati dall’attuale arcivescovo di Lucca Paolo Giulietti, quando era ausiliare di Perugia. I bambini hanno anche disegnato le illustrazioni della Via Crucis.
Dopo i carcerati della casa di reclusione Due Palazzi, per il primo anno della pandemia Papa Francesco affida ai bambini le meditazioni della Via Crucis. Non che le meditazioni siano sempre andate a grandi teologi. Anzi, la santità della porta accanto era stata valorizzata da Benedetto XVI con la scelta dei coniugi Zanzucchi, mentre Giovanni Paolo II nel 2002 affidò le 14 stazioni a 14 giornalisti accreditati dalla Sala Stampa della Santa Sede. La scelta, tra l’altro, non è nuova per Papa Francesco, che aveva scelto per il 2018 un gruppo di studenti di Roma per scrivere le meditazioni della Via Crucis, guidati dal professor Andrea Monda, che di lì a poco sarebbe diventato direttore dell’Osservatore Romano.
Di cosa hanno parlato le meditazioni? I bambini hanno sottolineato che anche i bambini hanno “delle croci, che non sono né più leggere, né più pesanti di quelle dei grandi, ma sono delle vere e proprie croci”, e che queste sono la paura del buio, la solitudine, il timore di essere abbandonati. Sono croci che solo Gesù “prende sul serio”.
E poi ci sono anche le croci grandi dei bambini, quelli che “non hanno mamma è papà”, o non “hanno da mangiare, non hanno istruzione, sono sfruttati e costretti a fare la guerra”:
Le stazioni sono piene di episodi di vita vissuta: la condanna ingiusta a morte di Gesù viene comparata all’accusa di aver rubato la merenda di un compagno, mentre chi sapeva la verità non è intervenuto; il Gesù caricato sulla croce è paragonato alla derisione, al bullismo che si vive tra alcuni ragazzi, e in particolare quelli di una compagna; la prima caduta di Gesù è paragonata a quella di una prima insufficienza.
L’incontro di Gesù con sua madre è descritto attraverso il brano delle nozze di Cana, il Cireneo è l’aiuto dato ad uno straniero che faceva fatica ad integrarsi, la donna che asciuga il volto di Gesù è il conforto che ricevono i bambini in alcune situazioni particolari di tristezza.
La seconda caduta è una delusione compresa, e trasformata in un qualcosa di più bello; l’incontro con le donne di Gerusalemme è una storia di correzione fraterna; la terza caduta è la solitudine provocata dalla pandemia.
E ancora: la spoliazione delle vesti di Gesù è paragonata al dono disinteressato di alcune bambole per i bambini del Kosovo; Gesù inchiodato sulla croce è la storia di un servizio al prossimo; la morte di Gesù porta una riflessione sul perdono; la deposizione di Gesù è la scomparsa improvvisa di molti nonni dei bambini, in questa pandemia. Infine, Gesù è deposto nel sepolcro. Scrive Sara a Gesù: ti ringrazio perché “mi hai insegnato a superare ogni sofferenza, affidandomi a Te; ad amare l’altro come mio fratello; a cadere e a rialzarmi (…). Oggi, grazie al tuo gesto di amore infinito, so che la morte non è la fine di tutto”.
Infine, sono gli adulti a scrivere la preghiera finale. Chiedono di diventare come bambini, “piccoli, bisognosi, aperti alla vita”. E affidano a Dio tutti i bambini del mondo, perché “possano crescere in età, sapienza e grazia”, e i loro genitori ed educatori “perché si sentano sempre uniti a Te nel donare vita e amore”.
La pratica della Via Crucis con 14 stazioni ebbe origine in Spagna almeno un secolo prima, portata poi in Italia dal francescano padre Salvatore da Cagliari, che fece erigere nel convento delle Croci di Firenze una Via Crucis. Sono 290 anni che c’è una via Crucis in ogni chiesa: la pratica fu stabilita da Clemente XII con il breve Exponi Nobis del 1731.
La prima Via Crucis al Colosseo venne celebrata nel 1750, voluta da papa Benedetto XIV per quell’ anno giubilare. La via Crucis si tenne al Colosseo fino all’Unità di Italia, e poi fu sospesa. La Via Crucis fu installata di nuovo nell’Anfiteatro Flavio nel 1926, ma la croce non era più al centro, ma di lato. Giovanni XXIII portò la via Crucis al Colosseo nel 1959, ma la tradizione costante della Via Crucis al Colosseo venne ripresa nel 1965 da Paolo VI.
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