Città del Vaticano , 15 February, 2021 / 6:00 PM
Papa Leone XII fu un restauratore o un riformatore? Certamente entrambe le cose ma in che modo e soprattutto cosa volle restaurare e cosa riformare?
Una delle “piste” da seguire nella storiografia di Papa della Genga per cercare di comprendere meglio questo pontificato è lo studio delle cerimonie pontificie.
Il programma di restauro di Papa della Genga è stato realizzato recuperando alcuni elementi simbolici, finalizzati a promuovere la riforma spirituale della Chiesa, spiega Simone Raponi giovane studioso dei Beni culturali della Chiesa.
Nel saggio “Tra cerimonialità e consuetudini pontificie. Alcuni “ripristini” di Leone XII” contenuto nel volume “La religione dei nuovi tempi. Il riformismo spirituale nell’età di Leone XII” a cura di Roberto Regoli e Ilaria Fiumi Sermattei, Raponi mette subito in evidenza che la intenzione di riforma di Papa Leone XII si vede subito nella decisione di traferire la sua residenza a Palazzo Vaticano, sede religiosa del Pontefice, e di istituire la Parrocchia del Palazzo Apostolico. “Il ripristino dell'uso delle tavole dei pellegrini, e dei banchetti cardinalizi del Giovedì e del Venerdì Santo, abbandonati dai tempi di Pio VI, sono emblematici della riforma spirituale intesa a rispondere alle esigenze del presente guardando al mondo dell'antico regime” spiega.
Insomma il pontificato di Leone XII sembra perseguire un ben definito programma di renovatio religiosa, un impiego ragionato della cerimonialità pontificia. E da questo si comprende una nuova visione del Papato che per della Genga avrebbe dovuto essere un segno sicuro per un’epoca di sconvolgimenti politici, religiosi e sociali. Si tratta come hanno detto alcuni di una vera e propria “teologia della visibilità”. A cominciare dal trasloco pontificio dal Quirinale al Vaticano. Il conclave del 1823 elegge Leone XII, fu il primo nella storia a svolgersi nel palazzo del Quirinale. Il pontefice marchigiano nel maggio dell’anno successivo trasferisce la propria residenza in Vaticano.
Era dai tempi di Paolo VI che “la reggia laica di Monte Cavallo costituì la sede privilegiata in cui i papi stabilmente vissero, governarono e morirono, mantenendo però il Vaticano quale insostituibile scenario delle grandi azioni cerimoniali. L’altissimo valore simbolico della tomba del principe degli apostoli e la presenza della grande basilica, rendevano il Vaticano, specie l’area della Cappella Sistina, della Cappella Paolina, della Sala Regia e della Sala Ducale, il luogo naturale dello svolgimento delle cerimonie pontificie. Si pensi, ad esempio, al rito della triplice obbedienza dei cardinali al neoeletto pontefice, che, se iniziato, come nel caso del conclave del 1823, nella Cappella Paolina del Quirinale, (non a caso, riproposizione architettonica della Sistina), doveva poi proseguire nei luoghi tradizionali previsti dai cerimoniali più antichi: il papa, difatti, sarebbe stato “intronizzato” sull’altare della Sistina e poi su quello di San Pietro e avrebbe ricevuto l’osculum pedis, manus et oris dai membri del Sacro Collegio” scrive Raponi.
Essere in Vaticano significava dare la priorità allo spazio sacro per eccellenza, e il trasferimento del Papa “marcava idealmente l’accento sulla natura spirituale e apostolica della sovranità pontificia, evidenziando così il ruolo del papa quale Vicarius Christi, capo della Chiesa universale”. Dopo gli anni “turbolenti delle convulse vicende rivoluzionarie e napoleoniche e dopo il periodo della prima restaurazione” tornare in Vaticano metteva in chiaro la intenzione di ricordare il carattere apostolico del papato.
E il Papa aveva anche le “sue” parrocchie nei Palazzi apostolici. Il primo novembre 1824 Leone XII firmava la costituzione apostolica Super universam. Nel contesto più ampio della riforma delle parrocchie romane, Il Papa stabiliva l’autonomia delle sedi del Laterano, del Vaticano e del Quirinale da qualsiasi altra giurisdizione parrocchiale. Parroco sarebbe stato il sacrista pontificio, membro della Famiglia pontificia, praefectus sacrarii apostolici, che già dalla metà del XIV secolo era un agostiniano. E questa scelta è rimasta tale fino ai nostri tempi, la sagrestia pontificia e la parrocchia di San Pietro infatti sono curate dagli Agostiniani.
Il sottosacrista di Leone XII diventata viceparroco. Le sedi per l’amministrazione del sacramento del battesimo e per la celebrazione delle esequie erano la Basilica di San Pietro per il Palazzo Vaticano, San Giovanni in Laterano per il Palazzo Lateranense e la basilica di Santa Maria Maggiore per la sede del Quirinale.
Il secondo ambito di “ripristini” era quello della carità. Scrive Raponi: “Nel medesimo giorno del solenne rito dell’incoronazione, avvenuto in San Pietro il 5 ottobre 1823, Gregorio Speroni annota:«Avendo il S. Padre voluto ripristinare l’antica Mensa che soleva darsi alli Pellegrini in una Camera contigua alla Credenza Segreta del Sagro Palazzo Apostolico, la quale Mensa già da molti Anni, e verso il fine del Pontificato della Santa Memoria Pio VI, sino a questo tempo era stata soppressa, perciò Egli l’ha fatta ripristinare, ed incominciare in questo giorno della sua Incoronazione. E nel momento stesso ch’Egli da S. Pietro è tornato a Casa al Quirinale, subito s’è portato nella detta Credenza e Camera, in cui per la prima volta ha benedetta la Mensa e Pellegrini»”.
Le Tavole “facevano capo alla cucina segreta, alla credenza segreta e al dispensiere, quindi erano direttamente legate alla persona stessa del papa e prevedevano il servizio quotidiano a dodici poveri, assistiti dall’elemosiniere o dal pontefice stesso, i quali, al termine del pranzo, donavano ai pellegrini rispettivamente una medaglia di ottone o di argento”.
La scelta del numero era un riferimento agli Apostoli e alla “Tavola degli Apostoli” del Giovedì Santo quando il Papa serviva il pranzo a tredici sacerdoti che avevano partecipato alla Lavanda dei Piedi.
Ma di tavole rituali durante la Settimana Santa se ne svolgevano diverse, con cardinali e sacerdoti. Una sensibilità cerimoniale di Leone XII non solo per i momenti strettamente liturgici, ma anche per alcuni elementi del cerimoniale pontificio.
Il rito non era forma, ma sostanza per il Papa della restaurazione e della riforma. Equilibrio difficile da ottenere nella temperie storica della prima metà dell’800. E del resto come non vedere che molti di quei rituali sono di fatto gesti che oggi sono visti come riforma?
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