Roma, 06 October, 2020 / 10:00 AM
In una calda giornata di agosto del 1988 un piccolo fraticello, con il sorriso sul volto ed una busta con degli alimenti, scende dal suo convento a piazza Argentina in Roma, poichè chiamato al citofono da un povero per un po' di cibo.
Il passo è svelto, il sorriso è la veste che indossa in questo servizio umile e disinteressato. Il suo nome è padre Ginesio Conti ed è un frate minore cappuccino.
Ricordare il nome di questo sacerdote è aprire l'impolverato libro della storia per rivivere l'esperienza di Rivotorto, vissuto da San Francesco e dai sui compagni che ne accolsero il messaggio.
Padre Ginesio fu così: un autentico francescano. Sempre ilare ed allegro e soprattutto disponibile verso chiunque bussava alla porta della comunità.
Ospite, bisognoso o altro non importava, lui era sempre pronto a cercare di rispondere alla necessità del momento.
Convisse, per ben venti anni, con il fuoco di Sant'Antonio, che sopportò con forza e rassegnazione, non facendo pesare sugli altri il suo dolore.
Dino Conti, questo il nome prima di cambiarlo, come la Regola cappuccina richiedeva prima del Concilio Vaticano II, era nato il 17 settembre 1917 a Montefalcone Appennino in provincia di Ascoli Piceno.
Nel 1939 fu accolto come postulante nel seminario dei Frati Minori Cappuccini e completati gli studi ed il noviziato, che lo introdusse nella vita serafica, il 14 luglio 1946, riceve l'ordinazione sacerdotale.
Prima destinazione fu la comunità di Ascoli Piceno, in qualità di vicedirettore dei fratelli laici. In questo servizio è ricordato per il suo modo di fare e per quella serenità che sempre ha accompagnato il suo cammino.
I superiori ne stimarono, da subito, le doti di intelligenza e mitezza in quanto nei suoi, oltre cinquant'anni di vita religiosa, ricoprì sempre incarichi delicati nelle comunità nelle quali è vissuto.
Tra queste fu superiore nella comunità delle Stimmate a Roma, ed in quelle di Civitanova Marche, San Severino Marche e Fossombrone,.
Guidò la Gioventù francescana ad Offida, dove ha lasciato un, indelebile e lusinghiero, ricordo.
Fu un religioso semplice, poverissimo ed amante della serenità e del servizio.
Nel convento delle Stimmate di Roma, i fedeli lo ricordano, sempre presente in confessionale, durante la messa vespertina, celebrata alle cinque e mezza del sabato e che accoglieva un buon numero di fedeli.
La sua carità fu pronta, attenta e solerte. La mattina della domenica era riservata alla visita di un buon numero di persone indigenti, che si rivolgevano per le loro necessità alla generosità del religioso, trovando sempre aperto.
Il 5 agosto 1998 spirò, dopo una breve permanenza nella comunità di Macerata, a causa di un triste e dolorosa patologia, per raggiungere quel Padre che aveva sempre amato, nella sua vita di sacerdote e figlio di San Francesco di Assisi, dal quale aveva preso lo stile ma di più il buon cuore.
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