Padova, 17 September, 2020 / 6:00 PM
Un volto scavato e perso nella contemplazione del Mistero. Davanti a questa scultura le domande sulla possibilità che l’arte oggi abbia ancora qualcosa da esprimere, soprattutto nella cruciale impresa di rendere visibile l’invisibile, ricevono una riposta immediata e positiva. L’opera di Giuseppe D’Angelo, giovane e promettente arista che vive e lavora tra Padova e Venezia, è esposta in una delle sale che si trovano nel chiostro del Beato Luca Belludi nella basilica di Sant’Antonio a Padova. Fa parte di una mostra collettiva che intende ripensare le figure di sant’Antonio e san Francesco dopo 800 anni dall’arrivo del poverello in Terrasanta e dalla vocazione francescana di Antonio.
Si chiama “La Voce e il Miracolo - Espressioni del contemporaneo” questa rassegna che attraverso le opere di ventisette artisti italiani di fama internazionale, l’esposizione, organizzata dall’Associazione culturale artistica “Di.Segno” e curata da suor Maria Gloria Riva, torna a mettere al centro le figure decisive per la storia della Chiesa, e non solo, dei santi Antonio e Francesco.
La curatrice, suor Maria Gloria Riva, ha proprio voluto porre la questione centrale del rapporto tra arte, sacro e contemporaneità e il risultato è davanti agli occhi del visitatore. Antonio, come Francesco, è un santo molto amato e sempre molto popolare. Parla con forza anche allo smaliziato e laicizzato uomo contemporaneo e riesce a ispirare in molti modi diversi artisti con differenti sensibilità. In questo spazio sospeso tra cielo e terra, in un luogo che la storia e la devozione hanno anche fisicamente plasmato – questa basilica che da secoli è la meta di continui pellegrinaggi e scrigno di tesori d’arte – è naturale poter fare esperienza di uno sguardo rinnovato sulla mistero della santità. Ci sono i miracoli, il rapporto imprescindibile tra il Santo i fedeli lo chiamano così, senza neanche il nome, santo per antonomasia e l’Eucarestia, l’incontro con il “padre” Francesco, le predicazioni, la forza della voce, la solitudine, la preghiera, la devozione. Ci sono i luoghi di Antonio, il profilo della sua basilica, ritratto da Cleofe Ferrari in varie ore del giorno e sotto luci diverse, che rimandano alla cattedrale di Rouen dipinta a lungo da Monet, e luoghi dell’anima, luoghi domestici, come nel quadro di Amerigo Mazzotta, dove la presenza fisica di Antonio non c’è ma silenziosamente riverbera da un piccolo ritratto devozionale tra le pareti di un appartamento abitato da una coppia, le cui atmosfere ricordano i tempi sospesi degli interni di Edward Hopper.
Miracoli, si diceva. Non si può pensare a sant’Antonio senza i miracoli. Ed ecco che dunque pesci argentei tra le onde di un mare senza tempo, che ancora oggi affiorano dall’acqua per ascoltare parole di vita, nelle opere di Paola Ceccarelli e di Giovanna Gobbi. Materiali diversi, dunque, tecniche diverse – pittura ad olio, acquarelli, terracotta, bronzo, acrilico, rame: tutto può essere vivificato dal rapporto con l’infinito, e l’arte percorre le mille strade dell’ispirazione e della creazione, senza cessare di stupire e commuovere. Sperimentazioni, contestualizzazioni, echi di opere tramandate nei secoli e poi c’è anche spazio per l’iconografia più “tradizionale”, quella che ci restituisce l’immagine del Santo così come appariva nelle collezioni di santini, e che ritorna nel rame a sbalzo di Caterina Gianuizzi e nell’acrilico di Silvia Gentilini, che ricordano le caratteristiche degli ex voto e ne rievocano la presenza attraverso i volti dei fedeli. Cimentarsi con la figura di sant’Antonio da Padova “è una sfida. Secoli di storia hanno cristallizzato la sua figura dietro a miriade d’immagini, a volte sdolcinate, altre volte possenti: il giglio, il bambino, il saio francescano. Ripensare Antonio in relazione alla compagnia di quel grande santo Fondatore che cambiò la sua vita, Francesco, anche questa è una sfida”, ha spiegato suor Maria Gloria, perché “la figura di Antonio ha fatto breccia nel cuore di molti. Non c’è angolo dell’America latina ove non si trovi la sua statua, non ci sono paesi o città senza una chiesa o una cappella a lui dedicata. Un santo amato, popolare di cui ognuno di noi, ha un ricordo legato all’infanzia”. Trovare modi inediti e personali per “raccontarlo” ancora ha prodotto questi colori e immagini nuove, che convivono in armonia con i chiostri, le cappelle, gli altari, le guglie modellati dai secoli.
L’esposizione sarà visitabile fino al 1° novembre (a eccezione del lunedì); successivamente, la mostra si farà itinerante lungo la nostra penisola in occasione dell’anniversario dell’incontro tra sant’Antonio e san Francesco (Assisi, 1221-2021).
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