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Un servizio di EWTN News

Meeting 2020, per il sacerdote e lo psichiatra la pandemia risveglia l'umano

Da dove nasce la speranza? A questa domanda ha risposto al Meeting dell’Amicizia fra i popoli don Julián Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, affermando che essa nasce insieme agli  altri, ma innanzitutto con se stessi. Nell’intervento don Carròn ha utilizzato soprattutto tre termini, guardare, vedere, intercettare: “Nel mio quaderno non risultano appuntate parole tipo studia, deduci, pensa, escogita”.

Ma come è possibile parlare in questo momento pandemico di ‘risveglio dell’umano’, gli domanda il presidente della Fondazione del Meeting, Scholz: “Eccolo qui il risveglio dell’umano, sotto i nostri occhi; anzi lo stiamo vivendo: questo Meeting che nessuno credeva possibile e che invece è stato ricreato nuovo e vivo qui e in centoventi città del mondo… Chi ha fatto una bella esperienza in mezzo alla difficoltà di questi mesi, può essersi sorpreso di aver avuto la capacità di stare nel reale con una capacità che non aveva. Chi non ha fatto tesoro di questo, tornerà al solito tran tran. La crisi economica e la pandemia hanno sfidato veramente la nostra concezione della speranza e della fiducia”.

Ma la speranza può confondersi con ottimismo? Don Carròn usa le parole del ‘Candide’ voltairiano per affermare che lo scopo non è fare finta che ‘tutto andrà bene’, pensando che gli uomini siano divinità: “Finiti i tentativi di cavarcela da noi stessi, addio speranza”.

Ed ecco l’altra parola, ‘guardare’, citando il poeta Eugenio Montale, per il quale ‘Un imprevisto è la sola speranza’: “Ognuno guardi in se stesso che cosa lo fa essere se stesso. Ognuno può testare che cammino ha fatto nella vita e in queste circostanze di Covid: se si è accorto che le difficoltà sono state una provocazione alla sua intelligenza e alla sua libertà, occasione di crescita. O se è successo quanto paventato da Eliot, che ha perso la vita vivendo”.

Ed ha ripetuto ai ragazzi che hanno affollato, nelle norme di sicurezza anti  Covid, la stessa frase che diceva ai suoi ragazzi quando era giovane sacerdote: “Se avete una persona cara ammalata gravemente, a cui  la malattia lascia poche speranze, e venite a un certo punto a sapere che dall’altra parte del mondo un’altra persona con lo stesso morbo è stata guarita, questo cambia, e come!, il vostro sguardo sul futuro”.

Quindi la Presenza rende ragionevole la speranza: “Non ogni presenza sa dare sicurezza nella tempesta come quella di Gesù sulla barca con i suoi discepoli. Ma lì si vede che la speranza poggia sulla fede, sulla fiducia che noi come i discepoli poniamo o meno in quell’uomo eccezionale, che è stato ucciso e che avevano visto risorto, vivo”.

E prima di concludere l’incontro don Carròn ha illustrato  come questa posizione non è né oppio dei popoli, né ritirate spiritualistica, ma fa mettere con entusiasmo ed intelligenza le mani in pasta nel tentativo di costruire forme sociali più giuste di vita per l’uomo: “La speranza è una costante della nostra esistenza. Come ci ha detto Pavese, attesa e speranza fanno parte della nostra essenza di uomini, costitutivo del nostro fare realtà.

Stare davanti alle possibilità che la vita ci offre, aperti all’imprevisto che possa capitare qualcosa che non avevamo previsto, questa è la grande sfida che abbiamo. Diceva don Giussani che quando ad uno è stata risparmiata la fatica del vivere non potrà aver avuto l’esperienza di poter liberare tutta la capacità della sua ragione, la creatività, il poter affrontare la sfida del reale”.

Da dove nasce la speranza? A questa domanda ha risposto al Meeting dell’Amicizia fra i popoli don Julián Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, affermando che essa nasce insieme agli  altri, ma innanzitutto con se stessi. Nell’intervento don Carròn ha utilizzato soprattutto tre termini, guardare, vedere, intercettare: “Nel mio quaderno non risultano appuntate parole tipo studia, deduci, pensa, escogita”.

Ma come è possibile parlare in questo momento pandemico di ‘risveglio dell’umano’, gli domanda il presidente della Fondazione del Meeting, Scholz: “Eccolo qui il risveglio dell’umano, sotto i nostri occhi; anzi lo stiamo vivendo: questo Meeting che nessuno credeva possibile e che invece è stato ricreato nuovo e vivo qui e in centoventi città del mondo… Chi ha fatto una bella esperienza in mezzo alla difficoltà di questi mesi, può essersi sorpreso di aver avuto la capacità di stare nel reale con una capacità che non aveva. Chi non ha fatto tesoro di questo, tornerà al solito tran tran. La crisi economica e la pandemia hanno sfidato veramente la nostra concezione della speranza e della fiducia”.

Ma la speranza può confondersi con ottimismo? Don Carròn usa le parole del ‘Candide’ voltairiano per affermare che lo scopo non è fare finta che ‘tutto andrà bene’, pensando che gli uomini siano divinità: “Finiti i tentativi di cavarcela da noi stessi, addio speranza”.

Ed ecco l’altra parola, ‘guardare’, citando il poeta Eugenio Montale, per il quale ‘Un imprevisto è la sola speranza’: “Ognuno guardi in se stesso che cosa lo fa essere se stesso. Ognuno può testare che cammino ha fatto nella vita e in queste circostanze di Covid: se si è accorto che le difficoltà sono state una provocazione alla sua intelligenza e alla sua libertà, occasione di crescita. O se è successo quanto paventato da Eliot, che ha perso la vita vivendo”.

Ed ha ripetuto ai ragazzi che hanno affollato, nelle norme di sicurezza anti  Covid, la stessa frase che diceva ai suoi ragazzi quando era giovane sacerdote: “Se avete una persona cara ammalata gravemente, a cui  la malattia lascia poche speranze, e venite a un certo punto a sapere che dall’altra parte del mondo un’altra persona con lo stesso morbo è stata guarita, questo cambia, e come!, il vostro sguardo sul futuro”.

Quindi la Presenza rende ragionevole la speranza: “Non ogni presenza sa dare sicurezza nella tempesta come quella di Gesù sulla barca con i suoi discepoli. Ma lì si vede che la speranza poggia sulla fede, sulla fiducia che noi come i discepoli poniamo o meno in quell’uomo eccezionale, che è stato ucciso e che avevano visto risorto, vivo”.

E prima di concludere l’incontro don Carròn ha illustrato  come questa posizione non è né oppio dei popoli, né ritirate spiritualistica, ma fa mettere con entusiasmo ed intelligenza le mani in pasta nel tentativo di costruire forme sociali più giuste di vita per l’uomo: “La speranza è una costante della nostra esistenza. Come ci ha detto Pavese, attesa e speranza fanno parte della nostra essenza di uomini, costitutivo del nostro fare realtà.

Stare davanti alle possibilità che la vita ci offre, aperti all’imprevisto che possa capitare qualcosa che non avevamo previsto, questa è la grande sfida che abbiamo. Diceva don Giussani che quando ad uno è stata risparmiata la fatica del vivere non potrà aver avuto l’esperienza di poter liberare tutta la capacità della sua ragione, la creatività, il poter affrontare la sfida del reale”.

In effetti per fare esperienza della meraviglia, il primo gesto è guardare quel che c’è, come aveva sottolineato nell’incontro precedente  Eugenio Borgna, primario emerito di psichiatria all’ospedale di Novara: “Oggi però l’esperienza della fragilità è entrata in modo prepotente nelle vite di ciascuno, spesso sovrastate dalla tecnologia che diventa fautrice di una vita tutta rivolta alla razionalità, dimenticandosi così di riconoscere l’irrazionale come parte fondante delle vite di ciascuno di noi. Quell’irrazionale che è amore, vita, riconoscimento dell’alterità e che aiuta a fuoriuscire dalle secche di un’esistenza senza significato”.

Ripetendo la frase di sant’Agostino, per cui ‘la verità abita nell’uomo’ lo psichiatra ha invitato a ‘rivalorizzare’ l’esame di coscienza: “La carenza più radicale di oggi è una mancanza di analisi interiore, dell’osservazione dei nostri pensieri, speranze e disperazioni. Ma quanti fra noi, ogni giorno, a fine giornata ripensano al senso delle cose fatte?

I nostri giovani sono travolti da un nichilismo esasperato. La mancanza di significato porta all’angoscia e alla disperazione. Allora continuo a chiedermi: quanta responsabilità c’è nei giovani e quanta invece negli adulti, portati a negare ogni significato al dolore, alla sofferenza, alla fragilità? Gli adulti forse oggi sono incapaci ancora più dei giovani di guardare dentro di sé e di ascoltare le proprie emozioni quando si incontrano con gli altri”.

Borgna, raccontando un episodio accadutogli, ha così spiegato che “se rifiutiamo il mistero, rifiutiamo la percezione degli orizzonti e dei valori della vita. Una mia paziente immersa in quella perdita di speranza che porta alla depressione, una mattina mi guarda e mi dice: ‘Non so che cosa sia avvenuto, le speranze sulle quali avevo costruito la mia vita, come avere una figlia, erano tutte fallite. Stamattina invece, improvvisamente, non so perché ho avuto l’impressione che potesse realizzarsi, non questa o quella speranza, ad esempio che mia figlia guarisse o che la situazione familiare si alleggerisse, ma il fatto di sentirmi trasformata, cambiata nella speranza che mi ha aperto l’orizzonte del futuro’”.

In effetti per fare esperienza della meraviglia, il primo gesto è guardare quel che c’è, come aveva sottolineato nell’incontro precedente  Eugenio Borgna, primario emerito di psichiatria all’ospedale di Novara: “Oggi però l’esperienza della fragilità è entrata in modo prepotente nelle vite di ciascuno, spesso sovrastate dalla tecnologia che diventa fautrice di una vita tutta rivolta alla razionalità, dimenticandosi così di riconoscere l’irrazionale come parte fondante delle vite di ciascuno di noi. Quell’irrazionale che è amore, vita, riconoscimento dell’alterità e che aiuta a fuoriuscire dalle secche di un’esistenza senza significato”.

Ripetendo la frase di sant’Agostino, per cui ‘la verità abita nell’uomo’ lo psichiatra ha invitato a ‘rivalorizzare’ l’esame di coscienza: “La carenza più radicale di oggi è una mancanza di analisi interiore, dell’osservazione dei nostri pensieri, speranze e disperazioni. Ma quanti fra noi, ogni giorno, a fine giornata ripensano al senso delle cose fatte?

I nostri giovani sono travolti da un nichilismo esasperato. La mancanza di significato porta all’angoscia e alla disperazione. Allora continuo a chiedermi: quanta responsabilità c’è nei giovani e quanta invece negli adulti, portati a negare ogni significato al dolore, alla sofferenza, alla fragilità? Gli adulti forse oggi sono incapaci ancora più dei giovani di guardare dentro di sé e di ascoltare le proprie emozioni quando si incontrano con gli altri”.

Borgna, raccontando un episodio accadutogli, ha così spiegato che “se rifiutiamo il mistero, rifiutiamo la percezione degli orizzonti e dei valori della vita. Una mia paziente immersa in quella perdita di speranza che porta alla depressione, una mattina mi guarda e mi dice: ‘Non so che cosa sia avvenuto, le speranze sulle quali avevo costruito la mia vita, come avere una figlia, erano tutte fallite. Stamattina invece, improvvisamente, non so perché ho avuto l’impressione che potesse realizzarsi, non questa o quella speranza, ad esempio che mia figlia guarisse o che la situazione familiare si alleggerisse, ma il fatto di sentirmi trasformata, cambiata nella speranza che mi ha aperto l’orizzonte del futuro’”.

(La storia continua sotto)

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a dove nasce la speranza? A questa domanda ha risposto al Meeting dell’Amicizia fra i popoli don Julián Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, affermando che essa nasce insieme agli  altri, ma innanzitutto con se stessi. Nell’intervento don Carròn ha utilizzato soprattutto tre termini, guardare, vedere, intercettare: “Nel mio quaderno non risultano appuntate parole tipo studia, deduci, pensa, escogita”.

Ma come è possibile parlare in questo momento pandemico di ‘risveglio dell’umano’, gli domanda il presidente della Fondazione del Meeting, Scholz: “Eccolo qui il risveglio dell’umano, sotto i nostri occhi; anzi lo stiamo vivendo: questo Meeting che nessuno credeva possibile e che invece è stato ricreato nuovo e vivo qui e in centoventi città del mondo… Chi ha fatto una bella esperienza in mezzo alla difficoltà di questi mesi, può essersi sorpreso di aver avuto la capacità di stare nel reale con una capacità che non aveva. Chi non ha fatto tesoro di questo, tornerà al solito tran tran. La crisi economica e la pandemia hanno sfidato veramente la nostra concezione della speranza e della fiducia”.

Ma la speranza può confondersi con ottimismo? Don Carròn usa le parole del ‘Candide’ voltairiano per affermare che lo scopo non è fare finta che ‘tutto andrà bene’, pensando che gli uomini siano divinità: “Finiti i tentativi di cavarcela da noi stessi, addio speranza”.

Ed ecco l’altra parola, ‘guardare’, citando il poeta Eugenio Montale, per il quale ‘Un imprevisto è la sola speranza’: “Ognuno guardi in se stesso che cosa lo fa essere se stesso. Ognuno può testare che cammino ha fatto nella vita e in queste circostanze di Covid: se si è accorto che le difficoltà sono state una provocazione alla sua intelligenza e alla sua libertà, occasione di crescita. O se è successo quanto paventato da Eliot, che ha perso la vita vivendo”.

Ed ha ripetuto ai ragazzi che hanno affollato, nelle norme di sicurezza anti  Covid, la stessa frase che diceva ai suoi ragazzi quando era giovane sacerdote: “Se avete una persona cara ammalata gravemente, a cui  la malattia lascia poche speranze, e venite a un certo punto a sapere che dall’altra parte del mondo un’altra persona con lo stesso morbo è stata guarita, questo cambia, e come!, il vostro sguardo sul futuro”.

Quindi la Presenza rende ragionevole la speranza: “Non ogni presenza sa dare sicurezza nella tempesta come quella di Gesù sulla barca con i suoi discepoli. Ma lì si vede che la speranza poggia sulla fede, sulla fiducia che noi come i discepoli poniamo o meno in quell’uomo eccezionale, che è stato ucciso e che avevano visto risorto, vivo”.

E prima di concludere l’incontro don Carròn ha illustrato  come questa posizione non è né oppio dei popoli, né ritirate spiritualistica, ma fa mettere con entusiasmo ed intelligenza le mani in pasta nel tentativo di costruire forme sociali più giuste di vita per l’uomo: “La speranza è una costante della nostra esistenza. Come ci ha detto Pavese, attesa e speranza fanno parte della nostra essenza di uomini, costitutivo del nostro fare realtà.

Stare davanti alle possibilità che la vita ci offre, aperti all’imprevisto che possa capitare qualcosa che non avevamo previsto, questa è la grande sfida che abbiamo. Diceva don Giussani che quando ad uno è stata risparmiata la fatica del vivere non potrà aver avuto l’esperienza di poter liberare tutta la capacità della sua ragione, la creatività, il poter affrontare la sfida del reale”.

In effetti per fare esperienza della meraviglia, il primo gesto è guardare quel che c’è, come aveva sottolineato nell’incontro precedente  Eugenio Borgna, primario emerito di psichiatria all’ospedale di Novara: “Oggi però l’esperienza della fragilità è entrata in modo prepotente nelle vite di ciascuno, spesso sovrastate dalla tecnologia che diventa fautrice di una vita tutta rivolta alla razionalità, dimenticandosi così di riconoscere l’irrazionale come parte fondante delle vite di ciascuno di noi. Quell’irrazionale che è amore, vita, riconoscimento dell’alterità e che aiuta a fuoriuscire dalle secche di un’esistenza senza significato”.

Ripetendo la frase di sant’Agostino, per cui ‘la verità abita nell’uomo’ lo psichiatra ha invitato a ‘rivalorizzare’ l’esame di coscienza: “La carenza più radicale di oggi è una mancanza di analisi interiore, dell’osservazione dei nostri pensieri, speranze e disperazioni. Ma quanti fra noi, ogni giorno, a fine giornata ripensano al senso delle cose fatte?

I nostri giovani sono travolti da un nichilismo esasperato. La mancanza di significato porta all’angoscia e alla disperazione. Allora continuo a chiedermi: quanta responsabilità c’è nei giovani e quanta invece negli adulti, portati a negare ogni significato al dolore, alla sofferenza, alla fragilità? Gli adulti forse oggi sono incapaci ancora più dei giovani di guardare dentro di sé e di ascoltare le proprie emozioni quando si incontrano con gli altri”.

Borgna, raccontando un episodio accadutogli, ha così spiegato che “se rifiutiamo il mistero, rifiutiamo la percezione degli orizzonti e dei valori della vita. Una mia paziente immersa in quella perdita di speranza che porta alla depressione, una mattina mi guarda e mi dice: ‘Non so che cosa sia avvenuto, le speranze sulle quali avevo costruito la mia vita, come avere una figlia, erano tutte fallite. Stamattina invece, improvvisamente, non so perché ho avuto l’impressione che potesse realizzarsi, non questa o quella speranza, ad esempio che mia figlia guarisse o che la situazione familiare si alleggerisse, ma il fatto di sentirmi trasformata, cambiata nella speranza che mi ha aperto l’orizzonte del futuro’”.

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