Rimini, 21 August, 2020 / 2:00 PM
“Durante il lockdown abbiamo deciso di realizzare il Meeting, pur nelle limitazioni più stringenti imposte dall’emergenza, perché siamo convinti che la manifestazione potrà essere una grande occasione, dopo la fase acuta della pandemia, di condividere le tante domande emerse sul significato della vita e della sofferenza, le domande e le preoccupazioni legate all’educazione e al lavoro, per poter affrontare con consapevolezza, responsabilità e speranza la ripresa di un’economia più sostenibile e giusta, di una convivenza sociale dignitosa, di una politica nazionale ed europea al servizio dell’uomo”: così aveva il neo presidente della Fondazione Meeting, Bernhard Scholz, presentando il Meeting 2020 Special Edition, che si svolge al Palacongressi di Rimini fino al 23 agosto.
Per questo quarantennale sono state allestite quattro mostre del #meeting20, dal titolo ‘Privi di meraviglia, restiamo sordi al sublime’: ‘Essere Viventi’, ‘Vivere il Reale’, ‘Bethlehem Reborn. Le meraviglie della Natività’ e ‘Siamo in cima! La vetta del K2 e i volti di un popolo’: due di queste, ‘Vivere il reale’, ‘Bethlehem reborn’, potranno essere visitate da chi si prenota agli incontri in presenza. Mentre alle mostre virtuali (tutte e quattro) si potrà invece accedere liberamente ogni giorno 24 ore su 24 lungo tutta la settimana del Meeting.
Al curatore di ‘Vivere il reale’ Carmine Di Martino, docente di filosofia teoretica all’Università degli Studi di Milano Statale, abbiamo chiesto di spiegarci il titolo del meeting di questo anno: “Al di dei vari significati che il termine ha assunto nella storia del pensiero, il ‘sublime’ è quella profondità ultima della realtà – del volto della persona amata, del pezzo di mondo che mi concerne, del fatto che accade qui davanti a me – di cui la nostra ragione ha strutturalmente sete. Ognuno sa che quanto più è viva la meraviglia per qualcosa o per qualcuno tanto più sorge irrefrenabile la ricerca del suo segreto, la domanda sul suo senso. Vi è un legame generativo tra meraviglia e pensiero, stupore e ricerca. Tutta la nostra cultura, com’è noto, nasce proprio dal grembo di un profondo, peculiare stupore, lo stupore dell’essere”.
Come è nata la mostra?
“Dal desiderio di misurarsi con il titolo di questa edizione del Meeting, che è una frase di Abraham Heschel, e soprattutto con il contesto da cui essa è stata tratta, il Capitolo X de ‘Il senso religioso’ di don Luigi Giussani. Tale desiderio si è subito scontrato con l’esplosione della pandemia: si può parlare dello stupore per la realtà quando si è esposti alla sua azione mortifera, sotto la specie di un invisibile virus? Nel frattempo, però, è apparso un libro, ‘Il risveglio dell’umano’ di don Julián Carrón, che sembrava scritto apposta per affrontare quell’interrogativo. Dalla provocazione incrociata dei due testi è scaturito il filo della mostra”.
Che cos’è lo stupore dell’essere di cui narra la mostra?
“Più o meno frequentemente, tutti ci stupiamo. Se la mattina del nostro compleanno, dopo aver varcato la soglia del portone di casa, trovassimo schierato davanti a noi, sul marciapiede, il gruppo dei nostri amici più cari e, alle loro spalle, una banda convocata per l’occasione, che intonasse un augurio musicale e corale, rimarremmo folgorati dallo stupore, travolti dalla meraviglia. Chi assistesse alla scena dal di fuori vedrebbe il nostro volto trasfigurarsi. Mi chiedo: quante volte ci è accaduto di provare lo stesso stupore non per questo o quell’evento, questa o quella cosa inaspettata, ma per l’esserci di tutto quello che c’è? Certo, non era ovvio che quella mattina gli amici fossero lì e avessero allestito quella sorpresa, ed è per questo che ci si stupisce. Senza dubbio. Ma non è forse ancora meno ovvio, anzi infinitamente e incomparabilmente meno ovvio il fatto che tutto quello che c’è – l’universo in dilatazione, il pianeta su cui poggiamo i nostri piedi, l’io di ciascuno – ci sia? Lo stupore dell’essere è lo stupore di fronte alla prodigiosa stranezza del fatto che l’universo sia. Da qui sorgono le domande della ragione, in qualunque lingua o cultura si esprimano: come mai c’è tutto questo? Perché? Da dove? Verso dove? Lo stupore dell’essere è questo sguardo originale, che emerge da una sospensione dell’abitudine che sempre in qualche modo accompagna il rapporto quotidiano con la realtà”.
Come si può vivere il reale al tempo del coronavirus?
“Si può vivere il reale anche in condizioni estreme: è un fatto, è lì da vedere. Siamo esseri straordinariamente adattabili. Il come, però, può essere diverso, a seconda della consapevolezza che matura in noi, con il contributo degli incontri più significativi che costellano la nostra esistenza. Possiamo assecondare o inibire il riemergere delle domande fondamentali sul senso, sul destino, che l’urto della realtà provoca in noi, fare o non fare i conti con le nostre convinzioni, le nostre risposte, con la coscienza che abbiamo di noi stessi e di ciò per cui vale la pena vivere, spendersi. Siamo chiamati a decidere”.
Quale compito avrà la cultura nella ricostruzione dei rapporti ‘reali’?
“I rapporti ‘reali’, come lei dice, non sono solo e automaticamente quelli ‘in presenza’, sono quelli in cui si realizza una condivisione, un ascolto, una stima, una affermazione dell’altro, della sua singolarità, del suo destino: stiamo con l’altro, davanti all’altro, e viceversa, senza eludere il dramma, le inquietudini, le aspirazioni, la sete di significato, i dolori e le debolezze che lo caratterizzano. Se cultura indica il modo di guardare e di interpretare il mondo, se stessi, la vita, essa è essenziale nella ‘costruzione’ e ‘ricostruzione’ di rapporti ‘reali’: orienterà il modo stesso con cui ci rivolgiamo agli altri, ci apriamo o ci chiudiamo alla loro presenza, deciderà di quello che cerchiamo nel rapporto con essi, del modo con cui li trattiamo. La differenza è subito chiara se diamo una rapida occhiata alla nostra vita personale e alla cronaca dei nostri tempi”.
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