Illegio, 19 August, 2020 / 12:30 AM
“Nulla è perduto”. Una preghiera, un richiamo, un modo per rincuorare, in un momento tanto difficile: parole che arrivano da una mostra e da un paese. La mostra è programmata e allestita anche quest’anno, a Illegio, un piccolo paese incantato in mezzo alle Alpi carniche friulane, vicino a Tolmezzo. Per arrivarci si percorre una strada tortuosa tra picchi, boschi, ghiaioni, campi. E una volta arrivati si ha l’impressione di aver fatto un salto nel tempo, un viaggio all’indietro per fermarsi in un’epoca di quieta bellezza, tra solide e curate case di pietra, tra ruscelli, mulini, silenzi, giardini al sole e fiori, tanti fiori colmi di luce.
Un autentico, piccoli, grande miracolo, Illegio, per via di questa dimensione perduta e perché da molti anni, è il centro di una vera e propria attività miracolosa: grazie all’iniziativa di un sacerdote dallo spirito indomito e di una capacità travolgente nell’affrontare qualsiasi ostacolo, vengono organizzate mostre capaci di attirare visitatori da tutt’Italia ed Europa, in grado di radunare capolavori provenienti da musei e fondazioni tra le più prestigiose al mondo. Il sacerdote audace è don Alessio Geretti, fondatore del Comitato di San Floriano di Illegio e curatore delle straordinarie rassegne da almeno vent’anni. Don Alessio, arrivato a Illegio nel 1998 scopre, per così dire, un altro aspetto miracoloso del posto: è ricco di opere d’arte, sconosciute ai più. Così nasce l’ispirazione di una rassegna che faccia conoscere questi tesori nascosti. Nasce la mostra “L’arte in Carnia tra Medioevo e Rinascimento”, e comincia l’irresistibile ascesa di Illegio quale centro internazionale di cultura e attrazione turistica, fino a contare oltre mezzo milione di presenze. Risultato straordinario, per un borgo che conta 360 abitanti.
Quest’anno, nonostante la bufera scatenata dalla pandemia, l’appuntamento non salta e propone un incontro insperato e dal sapore salvifico: quello con capolavori considerati ormai perduti per sempre, smarriti, distrutti, rubati, occultati in chissà quali caveau di banca o case blindate. Quelli che ossessionano collezionisti, curatori di musei, investigatori, curiosi di tutto il mondo. Come il “Concerto a tre” di Jan Vermeer, trafugato da ignoti ladri molto abili dal museo Stewart-Gardner di Boston, nel cuore della notte del 18 marzo 1990 e diventato così uno dei dipinti più ricercati di tutti i tempi. Che si può ora ammirare, grazie ad una operazione tecnologica ed evocativa, insieme ad altre tele nella mostra intitolata appunto “Nulla è perduto”. Don Alessio, anche nei testi che lui stesso legge e che i visitatori possono ascoltare nelle audioguide, sottolinea costantemente questo aspetto a cui forse non diamo ancora molto peso: niente di quello che viviamo, soffriamo, creiamo, andrà perduto, secondo il dettato evangelico. Anche questi giorni difficili, in cui sembra di precipitare in un mondo senza più criteri e certezze, scardinati dalla pandemia, possiedono un loro senso e una loro grandezza, che non andrà perduta.
Organizzata dal Comitato di San Floriano, in partnership con Sky Arte (che ha dedicato una fortunata serie speciale dedicata proprio ai tesori svaniti), con Factum Arte di Madrid e con Ballandi Arts, fino al 13 dicembre, la mostra rappresenta una specie di galleria dell’impossibile e dell’invisibile tramutato in visibile, capolavori che escono dalle tenebre grazie appunto alla tecnologia e a ottimi artigiani che le hanno riprodotte. Vicende misteriose, in cui si mescolano crudeltà e cattiveria, incuria e fatalità, e maestri protagonisti: Caravaggio, Vermeer, Van Gogh, Monet, Lempicka, Klimt, Marc, Sutherland.
Bombe, incendi, furti, razzie naziste, hanno cancellato, o fatto scomparire, quelle tele meravigliose: “Ninfee” di Monet, “Medicina” di Klimt, il Concerto di Vermeer… Esistono poi tesori che sono tra noi, ma sono invisibili: Perché inaccessibili, come le meravigliose della facciata principale della cattedrale di Chartres, rimaterializzate nel laboratorio di San Bellino di Rovigo di Sandro Tomanin e dai suoi collaboratori, ch per fortuna sono state risparmiate da disastri, atti vandalici, furti, ma hanno collocazioni architettoniche tali che non possono essere sposate o ammirate da vicino. Diventano così anche un momento di catechesi affascinante, una missione a cui sono state votate fin dal loro concepimento.
E poi ci sono tesori che non sono stati distrutti, ma forse non riconosciuti. In mostra si può ammirare un dipinto anonimo prestato da privati che ricorda molto l’opera di Van Gogh dal titolo “Le Restaurant de la Sirene a Asniers”. Sono in corso indagini di una squadra di superesperti per capire se esista una relazione tra i due quadri e di che tipo. Ci si potrebbe, dunque, trovare dinanzi ad un capolavoro ignorato, nascosto, invisibile. Ancora Van Gogh. Il “Vaso con cinque girasoli”, secondo di una serie di sette, dipinta nel 1888, che era stata acquistata e portata in Giappone: la tela è stata distrutta durante la terribile sequenza di bombe sganciate dagli americani tra il 6 e il 9 agosto 1945, episodio di cui è appena stata celebrata la triste ricorrenza. Quei Girasoli ora rivivono dinanzi agli occhi commossi dei visitatori. Così come è commovente la storia di Antero Kahila, pittore di Helsinki, che dal 2003 al 2008 si è dedicato anima e corpo a ricostruire “San Matteo e l’angelo” di Caravaggio, divorato dalle fiamme del rogo di Berlino del 1945.
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