Città del Vaticano , 06 August, 2020 / 12:05 AM
C’è una sola formula valida perché il battesimo sia un Sacramento valido, ed è quella voluta dalla Chiesa secondo la tradizione. Lo conferma la Congregazione per la Dottrina della fede nella risposta a due quesiti che erano stati posti.
Il primo riguarda una formulazione “comunitaria” che è stata usata in alcune situazioni: «Noi ti battezziamo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». La Congregazione, su indicazione del Papa conferma che non è valida.
Ne consegue la risposta alla seconda questione: chi è stato battezzato con quella formula deve essere battezzato di nuovo.
Oltre alle risposte la Congregazione ha pubblicato una “nota dottrinale” nella quale si spiega il motivo teologico di questa risposta.
In pratica sostituire il “noi” all’ “io” cambia tutto. Perché non la comunità che battezza, ma il ministro in nome e per conto di Cristo.
“Recentemente - scrive il Prefetto della Congregazione il cardinale Ladaria- vi sono state celebrazioni del Sacramento del Battesimo amministrato con le parole: «A nome del papà e della mamma, del padrino e della madrina, dei nonni, dei familiari, degli amici, a nome della comunità noi ti battezziamo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». A quanto sembra, la deliberata modifica della formula sacramentale è stata introdotta per sottolineare il valore comunitario del Battesimo, per esprimere la partecipazione della famiglia e dei presenti e per evitare l’idea della concentrazione di un potere sacrale nel sacerdote a discapito dei genitori e della comunità, che la formula presente nel Rituale Romano veicolerebbe”. Ma di fatto spesso si tratta di
“discutibili motivazioni di ordine pastorale “ e aggiunge in un nota: “ Spesso il ricorso alla motivazione pastorale maschera, anche inconsapevolmente, una deriva soggettivistica e una volontà manipolatrice”.
“Il Concilio Vaticano II asserisce che: «Quando uno battezza è Cristo stesso che battezza»” si legge nella nota, e ritorna al Concilio di Trento per spiegare che: “La dottrina dell’istituzione divina dei Sacramenti, solennemente affermata dal Concilio di Trento vede così il suo naturale sviluppo e la sua autentica interpretazione nella citata affermazione di Sacrosanctum Concilium. I due Concili si trovano quindi in complementare sintonia nel dichiarare l’assoluta indisponibilità del settenario sacramentale all’azione della Chiesa”.
Cambiare quindi la formula di un rito per la amministrazione di un Sacramento “di propria iniziativa” non è solo “un semplice abuso liturgico, come trasgressione di una norma positiva, ma un vulnus inferto a un tempo alla comunione ecclesiale e alla riconoscibilità dell’azione di Cristo, che nei casi più gravi rende invalido il Sacramento stesso, perché la natura dell’azione ministeriale esige di trasmettere con fedeltà quello che si è ricevuto”.
La questione è ecclesiologica. “Nella celebrazione dei Sacramenti, infatti, - si legge nella nota- il soggetto è la Chiesa-Corpo di Cristo insieme al suo Capo, che si manifesta nella concreta assemblea radunata. Tale assemblea però agisce ministerialmente – non collegialmente – perché nessun gruppo può fare di se stesso Chiesa, ma diviene Chiesa in virtù di una chiamata che non può sorgere dall’interno dell’assemblea stessa”.
E il ministro “è un segno esteriore della sottrazione del Sacramento al nostro disporne e del suo carattere relativo alla Chiesa universale”.
Diventa “fondamentale che l’azione sacramentale sia compiuta non in nome proprio, ma nella persona di Cristo, che agisce nella sua Chiesa, e in nome della Chiesa. Pertanto, nel caso specifico del Sacramento del Battesimo, il ministro non solo non ha l’autorità di disporre a suo piacimento della formula sacramentale, per i motivi di natura cristologica ed ecclesiologica sopra esposti, ma non può nemmeno dichiarare di agire a nome dei genitori, dei padrini, dei familiari o degli amici, e nemmeno a nome della stessa assemblea radunata per la celebrazione, perché il ministro agisce in quanto segno-presenza dell’azione stessa di Cristo che si compie nel gesto rituale della Chiesa”.
Il ministro del battesimo non è un funzionario, ma è segno- prsesenza di Cristo “che agisce nel suo Corpo, donando la sua grazia e rendendo quella concreta assemblea liturgica manifestazione «della genuina natura della vera Chiesa”.
Le azioni liturgiche non sono fatti privati e “alterare la formula sacramentale significa, inoltre, non comprendere la natura stessa del ministero ecclesiale, che è sempre servizio a Dio e al suo popolo e non esercizio di un potere che giunge alla manipolazione di ciò che è stato affidato alla Chiesa con un atto che appartiene alla Tradizione”.
E, la nota si conclude con una citazione di Sant’ Agostino dal Trattato sul Vangelo di San Giovanni, di grande chiarezza: “Battezzi pure Pietro, è Cristo che battezza; battezzi Paolo, è Cristo che battezza; e battezzi anche Giuda, è Cristo che battezza”.
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