Jesi, 23 July, 2020 / 4:00 PM
Il 9 maggio 1898 un ragazzo veste l'abito cappuccino, davanti alla comunità dei Frati Minori Cappuccini delle Marche. Il suo nome è fra Serafino da Pietrarubbia.
Questa storia, parla di un tempo passato e di una società che oggi non esiste più, fatta di sacrifici e molti problemi che aveva il solo dono di essere riscaldata da una fede in Dio, autentica e sentita.
Rimasto orfano degli amati genitori ed ancora minore, andò, prima, come garzone presso un contadino e poi come domestico presso il convento dei Padre cappuccini di Montefiore Conca.
In questo luogo fra le lunghe barbe dei religiosi e la vita, scandita dalla preghiera, sbocciò il bel fiore della vocazione serafica.
Accolto in comunità e terminato il consueto anno di noviziato, fu ammesso alla professione perpetua e destinato al convento di Jesi.
In questo luogo fece fiorire il bene fra i confratelli, seminando la fede e la giovialità del suo carattere.
Fu questuante per la valle dell'Esino, ed a piedi nudi e la pesante bisaccia sulle spalle, portava la carità ricevuta, in convento.
Questo permetteva di poter dare da mangiare alla comunità ed ai giovani che frequentavano il Seminario minore della Provincia monastica, situato in quel luogo.
Quanti volti e storie incontrate alle quali parlava della bontà del Padre che va in cerca dei suoi figli.
Era amato e ben voluto da tutti. La gente che lo incontrava ne sperimentava l'azione benefica, gli aiuti di preghiere ed altro che il religioso portava, se richiesto.
Ai giovani seminaristi ripeteva di essere fedeli e felici della vocazione cappuccina. Li invogliava al bene con piccoli doni come un santino, una corona del rosario o qualche castagna. Doni semplici, ma di grande valore se a porgerli è il piccolo fra Serafino.
Chi ebbe il dono di vivere in quella comunità lo ricorda di buon carattere ed allegro. Ciò colpiva in quanto la fede, la preghiera e la giovialità realizzavano in lui uno speciale connubio che induceva ad imitarlo.
Sereno ed obbediente compiva il suo lavoro, non per dovere ma per amore, quello con la a maiuscola.
Alla pesantezza ed all'età che avanzava non vi fece mai caso, continuando il suo vivere per la Regola, professata ma di più amata.
In comunità o fuori, il suo contegno era sempre uguale. Nelle incombenze che la vita comunitaria non gli risparmiava era il primo ad iniziare e l'ultimo a fermarsi.
Fu sempre innamorato della vita cappuccina, che arricchì con molte penitenze e preghiere.
Pregava, sempre, assorto con il Santo rosario fra le dita e la Madonna nel cuore.
Visse per 54 anni nella comunità di Jesi, fin quando aggravandosi, per l'asma bronchiale che l'assillò per 40 anni , fu necessario portarlo nell'infermeria provinciale di Macerata.
In questo luogo non si perse d'animo, intrecciando numerose corone del rosario che donava agli altri ,dedicandosi alla preghiera e ad aiutare i confratelli malati.
Veramente povero non aveva nulla. Una volta un signore, entrando nella povera cella, abitata dal religioso, comprese il senso dell'Assoluto ritornando alla fede, solo per aver visto come fra Serafino viveva la propria consacrazione religiosa.
Amabile, gioviale e coerente il suo nome è legato ai molti fratelli laici cappuccini che, nella semplicità e nell'eroicità delle virtù, vissero la vita religiosa.
La sua esistenza trascorse nel silenzio e nel lavoro.
Non ci fu nulla di eclatante, se non quel sorriso che il 17 febbraio 1960, lo condusse nelle braccia del Padre, lungamente amato e finalmente trovato.
Papa Benedetto XVI il 15 marzo 2008 ha firmato il Decreto sull'eroicità delle virtù del cappuccino, dichiarandolo venerabile.
(La storia continua sotto)
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