Roma, 04 June, 2020 / 4:00 PM
Entrando nella chiesa di Sant'Ignazio di Loyola al Campo Marzio, nella navata di sinistra si scorge il luogo nel quale riposa padre Felice Cappello (1879-1962).
Ricordare il gesuita è aprire lo spiraglio della memoria ad uno dei più solleciti ed amorosi confessori di Roma.
Gesuita e docente di diritto canonico presso la Pontificia Università Gregoriana, il suo nome è stato un punto di riferimento per i moltissimi che, stanchi del quotidiano, si rivolgevano alle sue parole pur di trovare quella risposta che salva.
Già sacerdote, dopo diverse traversie entrò nella Compagnia di Gesù, nella quale profuse il suo amore al Cristo. Come Sant'Ignazio di Loyola, fondatore dell'Ordine, dopo una veglia di preghiera ne chiese l'ammissione. La mattina seguente, da Lourdes, dove si trovava, scrisse un telegramma al Provinciale di allora, padre Ottavio Turchi, e fu ammesso a Villa Torlonia a Castel Gandolfo per iniziare il consueto noviziato. Era il 30 ottobre 1913.
In quest'anno, lo studio delle Costituzioni, la sua storia e le regole hanno segnato il passo del piccolo novizio, già grande nel cuore di Dio.
Religioso di profondo raccoglimento, la preghiera fu la sua prima ed unica occupazione. Pregava sempre, per strada, in autobus, in comunità, nel poco tempo libero.
Chi ebbe il dono di abitare nella stessa comunità, lo ricorda la mattina, in cappella in ginocchio nell'abituale contemplazione.
Visse poverissimo e con grande serenità il suo giorno. La sua camera aveva l'essenziale, null'altro.
Religioso di profonda spiritualità, mise sempre se stesso al secondo posto, per amore del vangelo che chiede di amare senza apparire.
Confessore nella chiesa di Sant'Ignazio, molti uomini e donne affollavano il confessionale, nel quale sedeva. Il Sacramento della Riconciliazione, durava pochi minuti, ma intensi e ricchi di quella consolazione tanto e lungamente attesa. Poche parole e sussurrate, sedavano le tempeste del cuore.
Quante volte, raccontò il sacrista, arrivava completamente bagnato, in confessionale, dopo un brutto acquazzone e chiesto di asciugarsi, riteneva che prima venissero le anime e dopo la sua persona. Ciò testimonia il suo essere al servizio del prossimo.
Di enorme carità e distaccato da tutto, fuorchè da Dio, un giorno consegnò, ad un bisognoso, una busta contenente una buona somma di denaro. Questo credendo che il padre si fosse sbagliato, il giorno dopo, la riportò alla sua attenzione, al che si trovò un padre Cappello che non solò, la lasciò nelle sue mani, ma si auguro di poterlo ancor meglio beneficare.
Di tali fatti fu piena la vita di quest'uomo che, alle persone diede tutto fino a consegnare se stesso.
Tutti erano importanti per lui: nella portineria della Gregoriana, nella quale risiedeva, moltissimi chiedevano di parlare con il padre e tutti trovavano la sua accoglienza e la sua generosità come meta del loro cammino.
Penitenti, devoti e tanti altri che spesso lo richiedevano, trovandolo sempre e con l'abituale equanimità. Tra le tante virtù di cui fu ricolmo, certamente, l'umiltà e la pazienza furono quelle che più risaltarono, nel suo vivere la sua consacrazione nel cuore del Padre.
Fu stimato da moltissimi tra cui anche da San Pio da Pietrelcina che, ai fedeli che venivano da Roma, rispondeva di recarsi dal padre gesuita.
Seminò l'amicizia con Dio con la semplicità e l'equilibrio interiore. La preghiera che consigliò, ai suoi fedeli, doveva essere semplice, umile e di cuore. Questo liberava le anime al volo della grazia.
Fu un esperto del diritto, salvando i principi che devono adattarsi alle persone, mai la sterile apparenza. Per la sua competenza fu chiamato, più volte, sia al Vicariato di Roma che a collaborare con il lavori del Concilio Ecumenico Vaticano II.
Visse la sua missione di sacerdote all'insegna della bontà e della cultura.
Spirò il 25 marzo 1962, per contemplare il volto del Cristo, cercato e trovato nei tanti che con la sua bontà soccorse.
E' in corso il processo di canonizzazione.
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