Milano, 21 April, 2020 / 12:05 AM
Per i cento anni della Fiera di Milano, l’arcivescovo Mario Delpini ha scritto un inno speciale. Un inno alla fierezza dell’uomo per il lavoro delle sue mani, all’intraprendenza, al progredire, allo sguardo al cielo. Ma soprattutto un inno ad una struttura che in tempi di coronavirus si è saputa ridisegnare, destinando ben due padiglioni all’ospedale Covid 19, un progetto destinato ad alleviare la pressione dei malati di pandemia sui reparti di terapia intensiva lombardi.
La Fiera di Milano venne fondata il 12 aprile 1920, per iniziativa di otto imprenditori. La “Campionaria” – come era chiamata allora – aveva sede sui Bastioni di Porta Venezia. Fu poi trasferita nella Nuova Piazza d’Armi, dove è stata ospitata per decenni, fino ad arrivare alla “Fieramilanocity” attuale. Il rapporto degli arcivescovi della città con la Fiera è sempre stato stretto. E che arcivescovi! L’arcivescovo della nascita della fiera è il Cardinale Andrea Carlo Ferrari, poi proclamato beato, che quasi non la godette, già malato. Il suo successore fu Achille Ratti, che rimase poco come arcivescovo di Milano, perché fu poi eletto Papa Pio XI. E quindi arrivò l’arcivescovo Luigi Tosi, che incontrò il re Vittorio Emanuele in tre occasioni, e due appunto legatealla Fiera. Quindi, il Cardile Ildefonso Schuster, il cardinale Giovan Battista Maria Montini (il futuro Paolo VI) e il Cardinale Carlo Maria Martini, solo per citare alcuni tra quelli più conosciuti.
La Cbiesa di Milano si preparava così a festeggiare il centenario della Fiera, ma i festeggiamenti sono stati rimandati a causa dell’emergenza coronavirus. L’arcivescovo Delpini ha voluto però celebrare ugualmente l’anniversario con un inno.
“L’uomo – scrive l’arcivescovo di Milano - può essere fiero del lavoro delle proprie mani e cent’anni sono un tempo abbastanza lungo per misurare frutti e progressi ed esserne lieti. La Fiera di Milano canta l’inno alla fierezza dell’uomo per il lavoro delle sue mani”.
Quello dell’arcivescovo Delpini è anche un “inno all’intraprendenza”, che “non parla di conquiste e di invasioni, ma di attrattiva e di convenienza, di collaborazione e di curiosità”. E così “la Fiera di Milano canta l’inno della vocazione internazionale, dell’umanità convocata insieme non solo per vendere e comprare, ma per conoscere e costruire ponti”.
L’arcivescovo di Milano ricorda poi il progredire simboleggiato dalla Fiera, perché l’uomo è “costruttore di un convivere che esalta l’impresa comune, che aborrisce lo sfruttamento e sa pretendere e sa premiare, custode di una invocazione di giustizia che non contrappone le classi sociali, ma nella conflittualità degli interessi sa trovare l’accordo con la stretta di mano, nella divergenza dei punti di vista intuisce la vocazione a una visione più grande”.
C’è – continua l’arcivescovo – una “vocazione alla solidarietà” propria dell’umanità di Milano, che anche guardare al cielo perché “nella frenesia dei giorni della produzione, nell’apprensione per l’attesa dei risultati, nell’insofferenza per gli impacci intollerabili è, di tanto in tanto, come sorpreso per una intuizione inaspettata che lo incoraggia ad alzare il capo e volgere lo sguardo al cielo: incrocia, talora, il luccichio dorato della Madonnina e dice una preghiera”.
Di fronte ad una città ferma e alle celebrazioni del centenario cancellate, l’arcivescovo Delpini esalta proprio il fatto che la Fiera sia diventata un ospedale. Scrive: “Uomini e donne di ogni dove, di ogni competenza, disponibili ad ogni fatica, hanno dato alle mura del Fiera il volto rassicurante di una offerta di soccorso, per offrire sollievo e cura. Hanno lavorato di giorno e hanno lavorato di notte, hanno messo insieme tutto quello che ciascuno poteva offrire e hanno rivelato che cos’è l’uomo cantando ancora l’inno della Fiera di Milano, l’inno del prendersi cura. Ecco che cos’è l’uomo, vocazione a prendersi cura del fratello!”
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