Zagabria, 25 March, 2020 / 9:00 AM
“C’è molto da riflettere: il coronavirus, ora il terremoto. Non sappiamo quale sia il piano di Dio”. Il Cardinale Josip Bozanic, arcivescovo di Zagabria, è scosso. Il terremoto ha colpito alle 6,25, con una violenza che ha fatto crollare la sommità della torre Nord della cattedrale dell’Assunta di Zagabria. E questa sommità è caduta direttamente sulla Curia vescovile, che sorge proprio sul lato della cattedrale, causando danni enormi e un buco che dal tetto ha portato macerie fino alle fondamenta.
La Zagabria che si è svegliata lo scorso 22 marzo era una Zagabria in rovina, con macerie ovunque. L’università probabilmente è tutta di ricostruire, la Curia vescovile ha necessità di riparazioni corpose, la cattedrale compare senza una torre, sebbene i danni interni non siano così forti.
Il Cardinale Bozanic – che ha parlato sia con la Radio Cattolica Croata che con la Radio Televisione Croata – ha espresso “vicinanza umana, cristiana ed episcopale a tutti coloro che soffrono. Questo terremoto è una sfida e un segno per tutti noi, ma anche una richiesta di solidarietà e vicinanza. E io sono tra quelli che sono senza casa in questi giorni. Non potevo rimanere nel Palazzo dell’arcivescovado perché danneggiato. Ma viviamo in comunità”.
Il cardinale, con gli altri abitanti della Curia arcivescovile, sono ora ospitati dal seminario, che si era vuotato per l’emergenza coronavirus. Per ora hanno lavorato nel Tribunale diocesano, ma ora si sta cercando un luogo alternativo per il tempo lungo.
Il fatto che le messe pubblico fossero sospese per il coronavirus è stata una coincidenza fortunata, spiega il Cardinale ad ACI Stampa. “Il terremoto – dice – è avvenuto alle 6.25 del mattino, e le chiese vengono aperte alle 6: il nostro duomo, la chiesa dei Francescani, la chiesa dei gesuiti dove è crollato tutto il pavimento. Fosse successo con le chiese piene, ci sarebbero state sicuramente vittime”.
Insomma, “da una parte potevano morire in molti. Noi, grazie a Dio, ci siamo salvati. Ma c’è da fare anche una riflessione: noi siamo uomini che fanno dei programmi e invece Dio ci mette in luce qualcosa di importante.”
Il Cardinale Bozanic ha sottolineato che la priorità, ora, è di “pensare alle famiglie che rimangono senza un appartamento, senza una casa. Ci sono anche chiese e parrocchie danneggiate a Zagabria e fuori Zagabria. Dobbiamo tutti dimostrare solidarietà. L’uomo viene per primo. Il resto arriverà”.
Il cardinale ha poi sottolineato che “Dio ci ama molto, e per questo siamo chiamati a vedere la vicinanza di Dio anche in questa situazione difficile. La pandemia del Coronavirus è una sfida. Dobbiamo essere seri e obbedire per aiutarci a vicenda. Siamo più solidali, più vicini gli uni agli altri”.
L’arcivescovo di Zagabria ha poi ricordato che “ogni giorno i sacerdoti celebrano l’Eucarestia e le persone sono chiamate ad essere spiritualmente connesse ai sacerdoti”.
Il cardinale ha voluto poi messo in luce che “nel programma dell’incontro della gioventù cattolica croata, abbiamo designato due chiese a guardia di due beati, il beato Aloizije Stepinac e il beato Ivan Merz. Queste chiese sono chiamate ad essere chiese di riflessione, pellegrinaggio e confessione. E queste due chiese, che sono la cattedrale e la Basilica del Sacro Cuore di Gesù, ad essere state maggiormente danneggiate”.
La torre sud della cattedrale è quella più danneggiata. Era alta 108,20 metri, sensibilmente più alta della torre nord, che misura 108,16 metri. Ma un grave danno lo ha fatto la croce che era posta in cima alla torre, che cadendo si è fratturata insieme al pilastro di circa 3 metri e mezzo che la sostiene.
La croce ha una sua storia. Era stata restaurata e posta di nuovo in cima alla torre nella Pasqua 2013. Era alta 2,55 metri, larga 1,44 metri e pesa circa 600 chili. Era stata realizzata nel laboratorio Maruzzi di Zagabria il 10 agosto 1898, e ridorata nell’1 dicembre 1939.
Su quella croce si era arrampicato Mato Juricic il 6 aprile 1932. Era rimasto senza lavoro, aveva solo i soldi per salire al primo piano della torre, e da lì uscì e si arrampicò in cima. Sognava di diventare un pompiere e quella dimostrazione lo fece entrare nel corpo dei pompieri. Lavorò come vigile del fuoco per 42 anni, fino a diventare il capo della caserma di Saska, quella storica nel centro città. Si era persino comprato un appartamento in un condominio adiacente alla caserma, per poter essere sempre vicino al luogo di lavoro.
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