Città del Vaticano , 04 September, 2015 / 10:15 AM
Superare la falsa opposizione tra teologia e pastorale. In un videomessaggio inviato al Congresso Internazionale di Teologia che si è tenuto dall’1 a 3 settembre presso l’Università Cattolica di Argentina, Papa Francesco ha dispiegato il suo pensiero teologico. E ha chiesto che l’incontro tra dottrina e pastorale “non è opzionale, ma costitutivo di una teologia che pretenda di essere ecclesiale.”
In controluce nel messaggio si trovano molti dei temi al centro del dibattito oggi, in vista del Sinodo dei vescovi sulla famiglia. Da una parte, le richieste della Segreteria generale del Sinodo di trovare una “pastorale che non sia una mera applicazione della dottrina.” Dall’altra, la necessità comunque di preservare le verità di fede, che emanano poi nella pratica pastorale. E infine, la terza via, quella proposta in un libro di prossima uscita che contiene gli interventi di undici cardinali: dare risposte pastorali rimanendo saldi nella dottrina.
È questa terza via che Papa Francesco delinea nel suo discorso all’Università Cattolica di Argentina, il cui rettore è l’arcivescovo Victor Fernandez, considerato da molti il ‘ghostwriter’ di Papa Francesco. Tema del Congresso internazionale di teologia è “Il Concilio Vaticano II. Memoria presente e prospettive,” ed è stato convocato per celebrare i 100 anni della Facoltà di Teologia dell’Università. Papa Francesco non poteva far mancare il suo messaggio, anche per motivi patriottici. E infatti ricorda che “in questa Argentina, di fronte alle multiple situazioni che ci presenta l’attuale multidiversità, l’interculturalità, gli effetti di una globalizzazione uniformante che relativizza la dignità della persona trasformandola in bene di scambio,” si deve – afferma il Papa – “ripensare come il cristianesimo si fa carne” e come “il fiume vivo del Vangelo continua a farsi presente per dissetare la nostra gente.”
Sono gli accenni patriottici dell’argentino Bergoglio che fanno capolino in un discorso che racchiude tutti i temi principali del suo pontificato: la “teologia in ginocchio,” vale a dire una teologia alimentata da una forte fede popolare; la necessità di guardare la realtà, perché – come il Papa spiega nell’Evangelii Gaudium – “la realtà è superiore all’idea;” e l’approccio pastorale, che però non deve mettere da parte l’approccio teologico.
Dice il Papa parlando in spagnolo: “Non poche volte si genere una opposizione tra teologia e pastorale, come se fossero due realtà opposte, separate, che non hanno niente a che vedere l’una con l’altra. Non poche volte ciò che è dottrinale viene identificato come conservatore, retrogrado; e al contrario, pensiamo la pastorale a partire dall’adattamento, riduzione, accomodamento. Come se non avessero nulla a che vedere l’una con l’altra.”
Ma questa – afferma il Papa – è “una falsa opposizione tra quelli che vengono chiamati i ‘pastoralisti’ e gli ‘accademicisti,’ ovvero quelli che sono fianco del popolo e quelli che stanno fianco della dottrina.” Ed è “falsa” l’opposizione” tra “teologia e pastorale, riflessione credente e vita credente.”
Superare questo divorzio tra dottrina e pastorale era proprio l’obiettivo del Concilio Vaticano II, sottolinea Papa Francesco. E afferma che “dobbiamo tornare al duro lavoro di distinguere il messaggio della Vita dalla suo modo di trasmissione, dagli elementi culturali in ciò che un tempo fu codificato.” Aggiunge che “la dottrina non è un sistema chiuso, privato della dinamiche capaci di generare domande, dubbi, domande.” Al contrario – afferma il Papa – “ la dottrina cristiana ha corpo, carne, si chiama Gesù Cristo ed è la sua Vita che è offerta di generazione in generazione a tutti gli uomini e in tutti gli angoli. Custodire la dottrina esige fedeltà a ciò è stato ricevuto e – a volte – a tenere in conto l’interlocutore, il destinatario, conoscerlo e amarlo.”
Insomma, “l’incontro tra dottrina e pastorale non è opzionale, è costitutivo di una teologia che pretende di essere ecclesiale,” e “le domande del nostro popolo, la sua sofferenza, le sue pene, i suoi sogni, le sue lotte, le sue preoccupazioni hanno un valore ermeneutico che non possiamo ignorare se desideriamo prendere sul serio il principio di incarnazione”
Il Papa delinea un dialogo tra i teologi e il popolo, perché “non possiamo ignorare la nostra gente al momento di realizzare la teologia,” perché Dio “ha scelto questo cammino.” In fondo, Papa Francesco ha già spiegato, all’inizio del messaggio, che “non esiste una Chiesa particolare isolata, che si può dire da solo, come pretendendo di essere padrona e unica interprete della realtà di azione dello Spirito.”
Non esiste – aveva aggiunto il Papa – “una comunità che tenga il monopolio della interpretazione e della inculturazione. Al contrario, non esiste una Chiesa universale che dà le spalle, ignora, si distacca dalla realtà locale.”
Come si deve superare il divorzio tra pastorale e dottrina, allo stesso modo il Papa invita a superare la divisione tra Chiesa locale e Chiesa universale, perché “la cattolicità esige, chiede, questa polarità tra il particolare e l’universale, tra l’uno e il multiplo, tra il semplice e il complesso,” e “annichilire questa tensione va contro la vita dello spirito.”
Ammonisce il Papa: “Tutti i tentativi, tutte le ricerche di ridurre la comunicazione, di rompere la relazione tra la Tradizione ricevuta e la realtà concreta, pone a rischio la fede del popolo di Dio.”
Come deve essere il teologo allora, per Papa Francesco? Prima di tutto “un figlio del suo popolo,” che è consapevole che “il popolo che crede ha un sentimento teologico che non può essere ignorato.” Poi deve essere “un credente,” che sa “che non può vivere senza l’oggetto del suo amore e consacra la sua vita con i suoi fratelli,” perché non c’è teologo che possa dire: “Non posso vivere senza Cristo.” E poi “il teologo è un profeta,” ed essere profeta è necessario in una “crisi attuale” che “si centra nella incapacità che hanno le persone di credere in qualche cosa più di loro stesse.”
Dice il Papa: “Il teologo è un profeta perché mantiene viva la coscienza del passato e l’invito che proviene dal futuro.”
Ma in fondo, per Papa Francesco c’è una sola forma di teologia: in ginocchio. “Non è solamente un atto pietoso di preghiera,” ma piuttosto “una realtà dinamica di pensiero e preghiera.” “Pensare pregando e pregare pensando,” è il motto proposto dal Papa.
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