Łódź, 16 March, 2020 / 4:00 PM
La domanda centrale è una: come si può raggiungere l’uomo di oggi? Se lo è chiesto la Commissione Evangelizzazione e Cultura del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, in una riunione che si è tenuta a Lodz, in Polonia, il 4 e il 5 marzo.
Si è parlato di evangelizzazione, di cultura, di come raccontare Dio all’uomo di oggi. E lo si è fatto in una delle diocesi considerata tra le più secolarizzate di Polonia. Non per niente, l’arcivescovo Gregorz Rys, di Lodz ha sottolineato che “durante il nostro incontro parliamo di evangelizzazione, e Lodz è il posto migliore per parlarne”.
L’ultimo incontro della commissione si era tenuto a Riga, in Lettonia, nel marzo 2018, e già si preparano diversi incontri per i prossimi due anni.
La commissione è strutturata in quattro sezioni tematiche: catechesi, comunicazione sociale, dialogo interculturale, interreligioso ed ecumenico e cultura. Presiede la commissione l’arcivescovo Zbignevs Stankevics di Riga, mentre il vescovo Duro Hranic è responsabile della sezione catechesi, il vescovo Nuno Bras è responsabile del dipartimento di comunicazione sociale. Il segretario della commissione è padre Mihails Volohovs, e hanno partecipato all’incontro anche il segretario del CCEE, monsignor Martin Michalicek, e don Antonio Ammirati, portavoce del CCEE.
Nella sua riflessione, l’arcivescovo Rys ha sottolineato che ci sono due presupposti per evangelizzare: il kerigma e la Chiesa. I problemi che si incontrano sono dati – ha spiegato l’arcivescovo di Lodz – dagli scandali che possono nascere e dal fatto che si insegna il catechismo, ma manca l’esperienza di fede.
Questa situazione – ha spiegato – va a ricadere in una società che ha le sue difficoltà. Si tratta di una “società di transizione”, che ha la storia, ma non ha né tradizione né memoria; di una “società di massa”, in cui le persone sono concretamente difficili da raggiungere, anche perché parte di una società consumistica e di una società di informazione, ovvero fatta da un grande rumore di informazioni.
In questa società – ha continuato l’arcivescovo Rys – prevale lo spazio al tempo, tutto deve essere “ora e subito”, manca la pazienza, mentre si sperimenta grande solitudine “anche se abbiamo tutti i mezzi necessari per il dialogo”.
Tra i problemi, anche la divisione a tutti i livelli, e la corrispondenza di unità e identità, che non permette di aprire verso un dialogo.
L’arcivescovo Rys ha messo in guardia la comunità cristiana ad essere attenta al proprio linguaggio, perché molti laici impegnati nella Chiesa “non hanno un linguaggio comune con la società”.
Per l’arcivescovo Rys, serve “una svolta copernicana nella pastorale”, partendo “dalla vita, dalla persona nelle sue circostanze e condizioni, e non dalla dottrina”, perché altrimenti non può avere luogo l’evangelizzazione.
Il discorso dell’arcivescovo Rys ha creato un ampio dibattito in commissione. Tutte le realtà sono state lette attraverso le lenti della comunicazione dell’annuncio, mentre la cultura è stata identificata come “via privilegiata del dialogo con il mondo di oggi”, e l’ecumenismo è stato descritto come “la più grande grazia dello Spirito Santo nel nostro tempo”.
I membri della commissione hanno sottolineato che l’esperienza della comunità, anche nelle chiese ben organizzate, è necessaria per vivere la propria fede e trasmetterla. Un punto di riferimento comune è stata l’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi di San Paolo VI. Ma i vescovi hanno anche messo in luce che è importante pre-evangelizzare, ovvero prima di tutto liberare le menti delle persone da pregiudizi e ostacoli per sentire il Vangelo.
L’obiettivo è di ripartire dall’uomo, la sfida è raggiungere gli uomini, per “svelare all’uomo moderno l’altro orizzonte”, sempre sapendo che “la grazia a buon prezzo non funziona più” ed è necessaria piuttosto “una responsabilità personale, ma reciproca: la comunità come via d’uscita, quindi il rinnovamento della comunità
È stato importante il ruolo dei movimenti, ma questi sono talvolta dimenticati. La risposta pastorale deve essere “fondata sulla analisi delle diverse realtà nelle quali viviamo”, mentre vanno coinvolte le famiglie nella catechesi dei bambini, perché queste non danno un contributo per quanto riguarda l’esperienza religiosa, ed è “quasi scomparsa la preghiera comune”.
I vescovi hanno anche sottolineato che l’obiettivo della catechesi è di “portare al rapporto personale con Gesù, a partire dal quale stabilire una sana religiosità”. I vescovi hanno anche riconosciuto che molti cammini finiscono dopo aver ottenuto i sacramenti.
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