Catania, 07 January, 2020 / 6:00 PM
La conversione dei peccatori, certo. Ma anche la necessità di un cambio culturale, nonché di una giustizia bene esercitata. Sono questi gli ingredienti per combattere la corruzione, secondo l’arcivescovo Michele Pennisi di Monreale e il prefetto Claudio Sammartino. Ingredienti sviluppati in un libro, “Dialogo sulla corruzione” (edizione Scientifica) che si conclude con una conversazione tra i due, moderata dal giornalista Giuseppe Di Fazio.
Molti i temi che vengono fuori dal dialogo. Ma uno è preponderante: la corruzione è combattuta dalla Chiesa ed è combattuta dalle istituzioni, ma è soprattutto quando Chiesa e istituzioni lottano fianco a fianco contro la corruzione che si ottengono i risultati migliori.
Non è un caso che questo dialogo avvenga tra un vescovo siciliano e un prefetto siciliano, tornato nella sua terra dopo un lungo girovagare in Italia. Perché è in Sicilia che questo fenomeno sembra più endemico, con la presenza forte della Mafia. Ma non c’è solo la Mafia: lo stesso Sammartino ha combattuto la ‘ndrangheta in Calabria, e poi ci sono altre organizzazioni criminali come la Camorra, la Sacra Corona Unita, tutte ben ramificate e radicate nel territorio.
Nel volume, l’arcivescovo Pennisi tratteggia la storia dei provvedimenti e dei pronunciamenti della Chiesa sul fenomeno mafioso, dai vari documenti della Conferenza Episcopale Siciliana all’anatema di San Giovanni Paolo II contro la Mafia nella Valle dei Templi di Agrigento, per finire con Papa Francesco, che ha sottolineato che i mafiosi sono scomunicati.
“Papa Francesco – scrive l’arcivescovo Pennisi – non fa solo notare il peccato grave in cui si trovano i mafiosi. Egli dice che questa condizione di peccato dei mafiosi è anche un delitto penale, che comporta la scomunica, perché c’è l’idolatria, l’adorazione del male, del denaro che prende il posto dell’adorazione del Signore. Aderendo alla Mafia, si sceglie di appartenere ad una organizzazione che si oppone ai valori del Vangelo, a una setta satanica che si oppone alla Chiesa cattolica”.
Il problema, in fondo, è la coscienza del male. Perché la corruzione viene fuori in un ambiente in cui viene considerata normale, o addirittura l’unica via.
Nella conversazione con il prefetto Sammartino, l’arcivescovo Pennisi nota che i documenti e le affermazioni generali (esempio: dire che la Mafia contrasta con il Vangelo) non servono, perché “oggi c’è una tendenza a farsi una religione per conto proprio, c’è una privatizzazione della fede”. Piuttosto “vietare al mafioso di essere ammesso in qualità di padrino di cresima o di battesimo, di essere membro di una confraternita o di avere funerali solenni disturba, almeno in Sicilia”.
La Chiesa, ovviamente, punta alla conversione del mafioso, la scomunica è una “pena medicinale” che serve a mettere in luce l’errore. I risultati migliori si ottengono quando c’è collaborazione tra Chiesa e Stato.
“Quello che è sotto gli occhi di tutti – spiega Sammartino – è la sintonia che molte volte si registra tra gli organi della Chiesa e quelli dello Stato tra queste tematiche. E questo è importante: nei confronti dei mafiosi e dei corrotti, che cercano di dividere o separare gli attori, considerandoli come un esercito nemico, questa è una cosa assai rilevante, perché fa comprendere che il fronte è unico e non ci possono essere cedimenti delle linee”.
Il dibattito, ovviamente, non finisce qui. E non riguarda la Mafia per se, perché Mafia e corruzione non sono lo stesso fenomeno. Ci può essere una corruzione senza mafia. Ma è anche vero che la corruzione è il sostrato su cui si sviluppano le mafie, ed è lì che si deve andare ad agire.
È un tema da sviluppare. In Vaticano, nel 2017, si tenne un dibattito internazionale sulla corruzione che nasceva da una serie di incontri informali sulla corruzione che avevano avuto luogo presso il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. È un tema di sicura attualità, di cui si continua a discutere. Il piccolo dialogo proposto dall’arcivescovo Pennisi e Sammartino è, dunque, un buon punto di partenza per comprendere la posta in gioco.
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