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Un servizio di EWTN News

Un summit internazionale pro-aborto a Nairobi. E la Chiesa non ci sta

Protestanti in piazza contro la conferenza di Nairobi su "Accelerare la promessa"

Ha fatto rumore la decisione della Santa Sede di non partecipare al summit di Nairobi, che si è tenuto dal 12 al 14 novembre. Sponsorizzato dai governi di Danimarca e Kenya, non configurato come evento delle Nazioni Unite sebbene tutto si riferisse poi alle grandi organizzazioni internazionali, l’evento aveva l’obiettivo di celebrare i 25 anni dalla Conferenza del Cairo su Popolazione e Sviluppo. L’agenda, però, era chiara fin dall’inizio, con l’ambizioso tema dato all’incontro: “Accelerare la promessa”.

La promessa cui ci si riferiva era, però, quella di garantire anche i servizi di salute sessuale e riproduttiva. Un eufemismo dietro cui le Nazioni Unite nascondono le politiche pro-aborto. Una promessa basata su una premessa: le donne non potranno mai godere appieno dei loro diritti se questi diritti non includono quello di poter disporre del loro corpo, e dunque anche del bambino non nato.

Questo linguaggio era già presente al Cairo, e la Santa Sede lavorò a lungo sulla terminologia, su cui espresse ampie riserve, pur vedendo anche la parte positiva delle conclusioni del summit del 1994. Nel corso di 25 anni, però, questo linguaggio si è diffuso in tutti i documenti delle Nazioni Unite, persino nei global compacts su migrazioni e rifugiati, seguendo una agenda inesorabile, che però non ha il consenso di tutti gli Stati. Da qui, la scelta della Santa Sede di non partecipare.

Scelta eclatante, ma che ha il senso di puntare i riflettori sui nuovi diritti imposti, che altro non sono che quelle “colonizzazioni ideologiche” di cui parla sempre Papa Francesco. Ma non solo. Il nunzio apostolico, l’arcivescovo Hubertus Van Megen, ha organizzato nei giorni del summit, proprio di fronte il palazzo presidenziale, un “contro-summit” chiamato “Nairobi Summit Pro-Life and Family Friendly”. I titoli dei panel in discussione erano eloquenti: “Come il fondo ONU sulla Popolazione sta dando forma alle politiche dell’Unione Africana su aborto, contraccezione e diritti sessuali”; “La cultura della morte semina morte”; “Come l’aborto ferisce le donne”. E poi, seminari sulla cultura della famiglia, sulla prevenzioni degli abusi, sull’essere genitori nell’era digitale. In più, due film: uno, Unplanned, è la storia di come l’industria dell’aborto USA si muove; l’altro, un documentario, è eloquentemente intitolato “Imperialismo culturale. L’agenda dei diritti sessuali”.

Significative sono le reazioni dei vescovi africani, raccolte da ACI Africa, l’ultima agenzia del gruppo ACI basata proprio a Nairobi.

I temi proposti, infatti, ha commentato ad ACI Africa il vescovo Alfred Rotich, emerito dell’ordinariato del Kenya e capo dell’ufficio per la vita familiare della Conferenza Episcopale del Paese, “distruggono la cultura della vita” dei Paesi africani.

E ancora, il vescovo Rotich ha notato che “parteciperanno circa 10 mila persone, e sappiamo cosa vengono a fare qui. Non sono a favore della vita, sono 10 mila abortisti. Vengono qui per sostenere una politica sbagliata”. Il vescovo ha contestato anche la decisione del Kenya di ospitare il summit. “La osserviamo – ha detto – dal punto di vista africano e chiediamo alla nazione, nella persona del suo presidente: non abbiamo dei valori?” C’è da dire che in molti sono scesi in strada a protestare contro il summit, tanto che il Kenya si è poi distaccato dalle sue conclusioni.

Se il vescovo Rotich chiede di “difendere i confini” da queste ingerenze ideologiche, non è stato da meno l’arcivescovo Martin Kivuya di Mombasa. Anche lui, parlando con ACI Africa, si è rivolto direttamente al presidente Ulhuru Kenyatta. “Attenzione, signor presidente – ha avvertito – questi sono temi da cui dovrebbe guardarsi. Dobbiamo dire di no, non possiamo accettarlo”.

L’arcivescovo di Mombasa lancia anche il sospetto di una “agenda segreta”, con l’obiettivo di ridurre la popolazione. “In Europa – ha ammonito – c’è crescita zero e vengono a dire a noi che siamo tanti. Ci dicono che siamo poveri perché siamo tanti. È una bugia! Siamo poveri perché loro hanno preso e prendono ancora le nostre risorse”. L’arcivescovo Kivuya fa anche l’esempio della Repubblica Democratica del Congo, che “con tutti i minerali che ha dovrebbe essere ricchissima”.

La decisione strategica di portare la conferenza nel cuore dell’Africa sembrerebbe confermare l’idea di una agenda segreta, tanto più che la Santa Sede ha denunciato proprio l’assenza di un consenso condiviso al Nairobi Statement lanciato dall’organizzazione.

Richard Kakeeto, membro attivo del Kenya Christian Professionals Forum, ha sottolineato ad ACI Africa di voler portare il messaggio che “la popolazione africana non è una responsabilità, ma una risorsa”.

I membri del Forum di Professionisti Cristiani del Kenya hanno programmato una conferenza di cinque giorni a Nairobi per promuovere una agenda pro-life, anche perché il Nairobi Summit – hanno sottolineato – “ha messo da parte il settore della fede”, tanto che se si vuole partecipare e si dice di avere a che fare con la Chiesa “non approvano la tua partecipazione”.

Venticinque anni fa, la Santa Sede si avvicinò alla Conferenza del Cairo su Sviluppo e Popolazione con cautela e prudenza, mettendo in luce tutte le contraddizioni dell’assise. Molti i passi fatti da San Giovanni Paolo II in persona.

Il 22 febbraio 1994, il Papa polacco pubblicò una “Lettera alle famiglie” in cui sottolineò che “la famiglia si trova al centro del grande combattimento tra il bene e il male, tra la vita e la morte”.

Il 18 marzo 1994, Giovanni Paolo II ricevette in udienza Nafis Sadik, segretario generale della Conferenza del Cairo e dirigente del Fondo ONU per Popolazione e Sviluppo. “In difesa della persona umana – disse il Papa nell’occasione – la Chiesa si oppone all’imposizione di limiti nella dimensione della famiglia”.

Giovanni Paolo II espresse chiaramente la contrarietà della Chiesa “alla promozione di metodi per la limitazione delle nascite che separano la dimensione unitiva e procreativa della famiglia da quella dei rapporti sessuali”, sottolineò la ferma opposizione “alla sterilizzazione, che viene sempre più promossa come metodo di pianificazione familiare”, e affermò che la Chiesa considerava la sterilizzazione “per le sue finalità e il suo potenziale una violazione dei diritti umani, specialmente per le donne, e per questo inaccettabile”; rimarcò che “l’aborto, che distrugge la nascente vita umana, è il peggiore dei mali, e non deve mai essere accettato come metodo di pianificazione familiare”.

Giovanni Paolo II affermò anche che “la bozza finale per la Conferenza del Cairo è causa di grandi preoccupazioni”, perché “molti dei principi che ho menzionato non trovano spazio in quelle pagine”, e cioè “questioni fondamentali come la trasmissione della vita, la famiglia, lo sviluppo materiale e morale della società”.

In particolare, il Papa polacco notò che “il consenso internazionale con cui la Conferenza di Città del Messico approvò che in nessun caso l’aborto sarà proposto come metodo di pianificazione familiare è completamente ignorato nel documento”, anzi “c’è una tendenza a promuovere il riconoscimento internazionale del diritto all’aborto senza restrizioni, con nessun riguardo ai diritti del nascituro”.

Quindi, il 19 marzo 1994, Giovanni Paolo II denunciò “un’inutile strage consumata questa volta contro i non nati” in una lettera a tutti i capi di Stato e presidenti dei Parlamenti del mondo. Una lettera senza precedenti, perché i Papi avevano scritto in precedenza in sole due occasioni ai Capi di Stato di tutto il mondo: all’inizio delle due Guerre Mondiali.

A testimonianza dell’importanza dell’evento, il 25 marzo 1994 Giovanni Paolo II convocò gli ambasciatori dei 151 governi accreditati presso la Santa Sede per spiegare perché la Santa Sede si opponeva alle risoluzioni del Cairo. Si trattò di uno sforzo internazionale che spinse diversi governi a schierarsi apertamente con il Papa.

Del documento, la Santa Sede notò le aperture positive, come il legame tra popolazione e sviluppo, il riconoscimento della famiglia fondata sul matrimonio, la promozione della donna e il miglioramento del suo status attraverso l’educazione e migliori servizi di assistenza sanitaria, ma si oppose fermamente alla definizione dell’aborto “come dimensione della politica della popolazione e dei servizi sanitari”.

Sono tutti temi che si ritrovano nel documento di Nairobi. Che è stato guidato da cinque temi, e il primo di questi è “accesso universale ai diritti di salute sessuale e riproduttiva”,

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