Città del Vaticano , 28 March, 2019 / 6:00 PM
Si chiama The Jewish annotated New Testament, ed è un commento al Nuovo Testamento nato dal lavoro di coordinamento Amy-Jill Levine e Marc Zvi Breitner. E loro stessi, in un articolo sull’Osservatore Romano, hanno sottolineato che questo testo può essere “un ponte tra ebraismo e cattolicesimo”.
Levine e Breitner hanno coordinato settanta studiosi ebrei di Australia, Israele, Nord e Sud America. Ne è venuto fuori un commento riga per riga, sul modello del commento di Rashi del Tanakh, fatto in maniera neutra, con lo scopo di mostrare lo sfondo storico e il milieu in cui sono avvenuti i fatti del Nuovo Testamento.
Un lavoro, spiegano i coordinatori, possibile solo grazie alla Chiesa Cattolica, che ha fatto un grande lavoro nel cercare di presentare descrizioni fedeli degli ebrei e dell’ebraismo, a partire dalla Nostra Aetate fino alle dichiarazioni della Commissione della Santa Sede per i rapporti religiosi con l’Ebraismo.
Oltre alle note sul contesto storico, nel libro ci sono anche cinquanta saggi brevi sul periodo del Nuovo Testamento, così come comprensioni ebraiche di Gesù, Paolo e Maria, del Battesimo e l’Eucarestia, nonché il modo diverso di interpretare le Scritture di Israele rispetto ai Vangeli e lo stato dei rapporti tra ebrei e cristiani.
La prima edizione è del 2011, la seconda è del 2017, interamente rivista e ampliata. Gli editori sottolineano che il testo è dedicato a cristiani che intendono conoscere il concetto ebraico del Nuovo Testamento ed ebrei che hanno poca familiarità con il nuovo testamento o il suo ruolo nei rapporti tra ebrei e cristiani.
“Alcuni lettori cristiani – scrivono – vedono gli ebrei come avidi, legalisti, xenofobi e misogini, e guardano a Gesù come colui che ha inventato la grazia e la compassione. Invece noi mostriamo come Gesù e Paolo parlano all’interno della tradizione ebraica, non contro”.
Ma anche gli ebrei – affermano – sono chiamati a leggere il nuovo testamento, per “colmare alcune lacune dell’educazione ebraica”.
Non si tratta, ancora, di una teologia ebraica del cristianesimo o di una teologia cristiana dell’ebraismo, come una volta auspicato dal Cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. E non sarebbe nemmeno il caso, come spiegò ad ACI Stampa il rabbino Di Segni dopo la visita di Papa Francesco nella sinagoga di Roma i 17 gennaio 2016, perché la teologia è un campo interno ad ogni religione.
Di certo, è un passaggio fondamentale nel terreno dell’autocomprensione. E Papa Francesco, che in Argentina fu fautore del “trialogo” con l’imam Omar Abboud e il rabbino Abraham Skorka, non potrà che apprezzare.
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