Città del Vaticano , 21 March, 2019 / 9:00 AM
Papa Francesco è in Marocco per i cattolici del Paese, ma anche per tutto il popolo marocchino, e dunque “cristiani e musulmani sono chiamati a lavorare insieme per la pace”: lo ha sottolineato l’arcivescovo Santiago Agrelo Martinez, di Tangeri, in una lettera scritta alla sua comunità in vista del viaggio di Papa Francesco in Marocco.
Dopo la lettera dell’arcivescovo Cristobal Lopez, è ora l’arcivescovo dell’altra grande diocesi marocchina a parlare ai suoi fedeli in occasione della visita del Papa. Lo fa da una diocesi che presenta forti caratteristiche di dialogo interreligioso.
Vero, scrive l’arcivescovo, la visita è importante perché si ha l’occasione di avvicinarsi al Papa e “fargli sentire il nostro affetto e dirgli che ci siamo impegnati a portare il Vangelo di Cristo nel cuore di coloro con cui percorriamo il nostro sentiero di vita”.
Ma la visita del Papa in Marocco riguarda qualcosa di più, perché “è ovvio che il Papa viene in Marocco per noi cristiani che viviamo qui”, ma anche “per il popolo marocchino, che qui ci accoglie come fratelli” e dunque “per cristiani e musulmani” la visita rappresenta “la chiamata a lavorare per la pace, ad agire secondo giustizia, ad essere solidali gli uni con gli altri, a promuovere la libertà d tutti”.
Per l’arcivescovo Agrelo, è il segno che prima “potevano separare due certezze”, mentre oggi “deve unire un’unica ricerca”, e se “abbiamo scritto una storia fratricida nel nome di due fedi, è tempo di scriverne un’altra che agli occhi di tutti risulti fraterna, unita da vincoli di clemenza e misericordia”.
L’arcivescovo di Tangeri ha sottolineato che “ciò che viene da Dio, tanto nell’Islam quanto nel Vangelo, non ci separa gli uni dagli altri, non ci rende estranei gli un agli altri, e ancor meno ci rende superiori gli uni agli altri”, perché “ciò che è di Dio, unisce nell’amore, che è di Dio”.
L’arcivescovo Agrelo ha notato che “viviamo tempi difficili, in cui per cristiani e musulmani è diventato urgente scoprire la nostra comune vocazione a umanizzare il mondo, e di farlo ciascuno partendo dalla luce con cu la fede che professiamo ci illumina”.
L’arcivescovo Agrelo è certo che la visita del Papa “lascerà nei nostri occhi la gioia di guardarci come fratelli, nei nostri cuori un impegno nei confronti di questi fratelli e di questa terra, nelle nostre mani un progetto di solidarietà con i poveri, nel nostro spirito la passione per Do e per le nostre creature”.
Oltre al tema del dialogo, l’arcivescovo di Tangeri guarda ad un altro tema del viaggio: quello dei migranti, “consegnati nelle mani criminali delle mafie dalle politiche criminali dei governi, impossibilitati ad esercitare i loro diritti fondamentali, trattati come schiavi, portati avanti e indietro come una merce, spinti a negoziare con la morte ciò che dovrebbe offrire loro la giustizia”.
Sono migranti che “hanno bisogno che la parola del Papa venga rivolta loro per confortarli, per mantenere viva la loro fede, per rafforzare la loro speranza”, e che “quella parola si rivolga alla coscienza del popolo, ricordi la responsabilità che nel dramma dell’emigrazione ha la politica” ma anche le responsabilità delle comunità cristiane nei Paesi di origine di “formare le coscienze” e muovere a prendere le decisioni politiche”.
La speranza è “che Papa Francesco venga in questa terra, e che a questa umanità affamata di giustizia, di amore, di speranza, faccia arrivare la luce della sua parola, il calore del suo affetto, la testimonianza che la Chiesa, madre di tutti, è particolarmente vicina a questi figli che hanno bisogno di tutto”.
Sono ultimi che non possono avvicinarsi al Papa, ma che sono chiamati ad “occupare un posto privilegiato nel suo cuore di Padre”.
Gli auspici di dialogo dell’arcivescovo di Tangeri nascono in una arcidiocesi particolarmente attiva nel dialogo interreligioso. Lo scorso 7 marzo, a Tetuan, c’è stato un incontro interreligioso terminato con una dichiarazione congiunta, parzialmente ispirata al documento sulla Fraternità Umana firmata da Papa Francesco e il Grande Imam di al Azhar il 3 febbraio negli Emirati Arabi Uniti.
Nel documento, si legge che i credenti “musulmani, cristiani, ebrei e persone di buona volontà” di Tetuan si impegnano per “diffondere la cultura della tolleranza, della convvenza e della pace”, e dichiarano di prendere “come cammino la cultura del dialogo, la collaborazione comune come condotta, la conoscenza reciproca come metodo e criterio”.
L’insegnamento delle religioni – sottolinea il manifesto – “invita a rimanere ancorati ai valori della pace”, e per questo le religioni nel nome del Dio che professano, chiedono “che cessi la strumentalizzazione delle religioni con questi fini perversi”.
Le fedi a Tetuan si sono anche impegnate a “continuare negli sforzi di praticare l’accoglienza e l’ospitalità con il povero e l’escluso, con lo straniero, l’immigrato e il rifugiato”.
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