Città del Vaticano , 15 November, 2018 / 12:34 AM
Incontrando gli allievi del Pontificio Pio Collegio Latino Americano, Papa Francesco invita i sacerdoti, e in particolare quelli provenienti dall'America Latina, ad essere sempre vicini alla propria gente, ad essere “evangelizzatori di anime e con anima”, considerando che “missione è passione di Gesù e allo stesso tempo passione per il proprio popolo”.
Il Pontificio Collegio, che ospita studenti da tutta l’America Latina, festeggia il suo compleanno numero 160 con una udienza da Papa Francesco, che come prima cosa nota la particolarità più degna di nota, e cioè di “essere latino americano, vale a dire uno dei pochi collegi romani la cui identità non si riferisce ad una nazione o a un carisma particolare”, ma a tutto un continente che al Papa venuto dall’Argentina piace chiamare “la Patria Grande” nella tradizione dei progenitori.
Ed è importante, per Papa Francesco, avere questa esperienza di comunione “latinoamericanizzata”, perché “uno dei fenomeni che mette a rischio con forza il continente è la frammentazione culturale, la polarizzazione degli strati sociali e la perdita delle radici”, un rischio che viene acutizzato “quando si fomentano discorsi che dividono e propagano diversi tipi di paragoni e odio”, tra l’altro anche “importando modelli culturali che poco o nulla hanno a che vedere con la nostra storia e identità”.
È il pericolo della “colonizzazione ideologica”, da cui Papa Francesco da sempre mette in guardia, e di cui vede presenza anche all’interno della Chiesa. E vi contrappone la vocazione latinoamericana ad essere “terra di incontro”.
Per questo, Papa Francesco vede la presenza a Roma come una occasione per “creare legami, alleanze di amicizia e fraternità”, non per fare una dichiarazione di buona volontà, per conoscersi e conoscere meglio “le situazioni concrete che affrontano e vivono i nostri popoli, e sentire come propri i problemi del vicino”.
Papa Francesco sottolinea che il Pontificio Collegio può “aiutare molto a creare una comunità sacerdotale aperta e creativa, allegra e piena di speranza”, ma solo se è capace di “radicarsi nella vita degli altri”, che sono fratelli perché “figli di una storia e di un patrimonio comune”. Solo una comunità sacerdotale consapevole dell’importanza della solidarietà concreta che nasce nel rapporto personale potrà, per Papa Francesco, essere in grado di “guidare comunità che sappiano aprirsi agli altri per intessere e sviluppare la speranza”, considerando che il continente latinoamericano ha bisogno di “artigiani di relazione e di comunione, aperti e confidenti delle novità che il Regno di Dio può suscitare oggi”.
Papa Francesco ricorda che si può cominciare a farlo ora, nella cura delle parrocchie, nelle stesse diocesi, sentendosi prima di tutto parte di una comunità sacerdotale, perché è da qui che vengono “stimolate creativamente rinnovate energie missionarie che diano impulso a un umanesimo evangelico capace di convertirsi in intelligenza e forza propulsiva del nostro continente”.
Se invece questo senso di appartenenza manca “ci disperdiamo e debilitiamo, e così, cosa peggiore, priveremmo tanti nostri fratelli della forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo”, e si rischia di creare "un Dio senza Cristo, un Cristo senza Chiesa, una Chiesa senza popolo... puro gnosticismo rielaborato".
Papa Francesco ricorda dunque che “per essere evangelizzatori con anima e di anima, perché la nostra vita sia feconda e si rinnova con il passare del tempo, è necessario sviluppare il piacere di stare sempre vicini alla vita della nostra gente”, perché “la vita del sacerdote diocesano vive di questa identificazione e appartenenza”, considerando che “la missione è passione per Gesù, e, allo stesso tempo, è passione per il suo popolo”, ed è a “apprendere a guardare dove il popolo guarda, e commuoversi per le stesse cose per le cose per cui il popolo si commuove”.
Papa Francesco chiede anche di essere “integrati a fondo nella società, condividere la vita con tutti, ascoltare le loro inquietudini”. L’esempio è quello di San Oscar Romero, canonizzato quest’anno, che – ricorda il Papa – è stato “alunno della vostra istituzione e segno vivo della fecondità e santità della Chiesa latinoamericana”, un uomo “radicato nella parola di Dio e nel cuore del popolo”.
Papa Francesco invita dunque gli studenti del collegio a “non aver paura della santità”, perché “nel cammino in cui si intrecciano cultura e pastorale” non siamo orfani”, ma siamo accompagnati dalla Vergine. E qui Papa Francesco fa riferimento alla Vergine di Guadalupe, patrona del Sudamerica, che si “è mostrata meticcia e feconda”, madre di “tenerezza e fortezza che ci riscatta dalla paralisi o la confusione della paura perché sta semplicemente lì, come madre”, e che non va dimenticata, perché aiuta anche ad evitare di trasformarsi in chierici di Stato.
Il Papa infine ringrazia i gesuiti, che da sempre gestiscono il Pontificio Collegio. “la missione che la Chiesa pone nelle vostre mani – dice il Papa – le chiede saggezza e dedicazione perché nel tempo che i giovani sono nella casa possano nutrirsi del dono della Compagnia, imparando ad armonizzare le contraddizioni che la vita presenta e presenterà senza cadere nel riduzionismo , e guadagnando in spirito di discernimento e libertà”.
L’invito finale è di aiutare i giovani a “scoprire l’arte e il piacere del discernimento come modo di procedere, per incontrare, nel mezzo delle difficoltà, il cammino dello Spirito”.
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