Città del Vaticano , martedì, 9. febbraio, 2016 10:00 (ACI Stampa).
“Io voglio bene al popolo turco e lo apprezzo”. Lo ha detto Papa Francesco a Rinaldo Marmara, presidente di Caritas Turchia e addetto culturale della Conferenza Episcopale Turca. Marmara ha incontrato Papa Francesco al termine dell’udienza generale del 3 febbraio, e gli ha presentato il libro “La squadra pontificia ai Dardanelli 1657”. Una presentazione che ha creato l’occasione di un comunicato stampa più ampio sulla storia della Turchia, in cui la Santa Sede parlava dei “tragici fatti” del 1915 in relazione al massacro degli armeni. Il fatto che non si sia parlato più del termine genocidio ha di fatto creato il disgelo delle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Turchia, la quale ha reinviato in Italia il suo ambasciatore accreditato presso la Santa Sede.
E così, è stato grazie a un libro che Turchia e Santa Sede si sono riavvicinate. Ad ACI Stampa, Marmara spiega che “il libro ha giocato un ruolo importante nella ripresa delle relazioni diplomatiche, anche se è stato unicamente uno strumento che ha provocato la dichiarazione di papa Francesco”. Ma la dichiarazione era segno della volontà di entrambe le parti di chiudere la questione.
Questione aperta il 13 aprile, quando Papa Francesco partecipò a una liturgia in Vaticano che ricordava il centenario del “grande male” – come viene ricordato in Armenia il massacro sistematico degli armeni ad opera dei Turchi –, definì quest’ultimo come “il primo genocidio del XX secolo”. Parole che in realtà riprendevano quelle di Giovanni Paolo II in un comunicato congiunto con il Catholicos Karekin II, capo della Chiesa apostolica armena. Ma, nel pronunciare quelle parole, Papa Francesco non segnalò che si trattava di una citazione. E la Turchia, che non ha mai voluto riconoscere il massacro degli armeni come “genocidio” (termine che tra l’altro prevede un riconoscimento giurdico) ritirò per protesta il suo ambasciatore presso la Santa Sede, Mehmet Pacaci.
Ma da allora, la diplomazia della Santa Sede ha lavorato incessantemente per ricucire lo strappo. Anche perché Papa Francesco aveva lasciato intendere che voleva intraprendere un viaggio in Armenia. Un viaggio che potrebbe avvenire in un buco che c’è nell’agenda romana diffusa dalla Prefettura della Casa Pontificia, che non prevede l’udienza generale del 22 giugno e l’Angelus del 26 giugno. Anche se Papa Francesco, proprio per mantenere buoni rapporti con la Turchia, potrebbe piuttosto decidere di andare in un Paese limitrofo, come Azerbaidjan o Kazakhistan. Mentre il viaggio in Armenia si potrebbe fare a settembre - sembra si sia già al lavoro per farlo - dopo il Sinodo Pan-Ortodosso. Non si farà invece il viaggio in Kosovo, per visitare i profughi, che pure sembrava possibile.
Di fatto, dopo il comunicato diffuso dopo la consegna del libro da parte di Marmara, la ferita sembra essere ricomposta. Ankara ha considerato come uno “sviluppo positivo” le parole della Santa Sede. Un comunicato in cui la Santa Sede sottolinea anche che “è stato notato e apprezzato il rinnovato impegno della Turchia a rendere i propri archivi disponibili agli storici e ai ricercatori delle parti interessate”, cosa che tra l’altro – ricordano i turchi – è già stata fatta nel 2005.