Ciudad Juarez , mercoledì, 17. febbraio, 2016 14:30 (ACI Stampa).
Le avevano dipinte sui pali della luce della via Panamericana, che taglia la città di Juarez, dove il Papa conclude oggi il suo viaggio in terra messicana. Croci, una dopo l’altra, quasi tutte con sfondo rosa, a segnalare la scomparsa di giovani, quasi sempre donne, quasi sempre violentate, molto spesso introdotte nel giro della prostituzione. Sono state cancellate stamattina, prima dell’arrivo del Papa, come documentato dalle immagini di Maurizio Di Schino di TV2000.
E così, Papa Francesco arriverà nella città alla frontiera con gli Stati Uniti senza poter vedere quelle croci. Senza poter sentire il peso di quella denuncia, fortissima. Perché Juarez non è solo il posto della rete che divide dagli Stati Uniti, dei costanti tentativi di emigrazione clandestina. Juarez non rappresenta solo quel divario tra Nord e Sud che in Messico si sente tantissimo. Juarez è anche una capitale della criminalità e della povertà.
Lo è, prima di tutto, per la sua posizione geografica. Posta di fronte a El Paso, con cui condivide le acque del Rio Grande o Bravo, la città ha attirato con gli anni un sacco di gang: narcotrafficanti, ma anche trafficanti di esseri umani, i cosiddetti polleros che aiutano a varcare la frontiera. Nasce anche da qui il dramma degli indocumentados, coloro che vanno dall’altra parte senza documenti, sperando di non essere ricacciati indietro.
Ma a Juarez ci sono anche le “maquiladoras”, le industrie manifatturiere che assemblano prodotti destinati all’esportazione. Dopo l’accordo nord-americano per il libero scambio (il NAFTA) ha aumentato la produzione, fatto crescere le speranze di lavoro. In molti sono andati a Juarez. Per un lavoro mal pagato, magari, con tratti di schiavitù. Ma pur sempre per un lavoro. Le donne sono quelle che hanno accettato più di tutte le basse condizioni di lavoro.
E così, tra invidia sociale e misoginia dei cartelli del narcotraffico, tra criminalità e prostituzione, l’assassinio delle donne è aumentato vertiginosamente a Juarez. È “femminicidio”, omicidio a causa del genere sessuale. Le statistiche sono tremende. Il conteggio si è cominciato nel 1993, quando venne ritrovato il corpo senza vita di Alma Chavira Farel, di 13 anni, violentata e poi strangolata. Lo slogan fu “Ni una mas!”, nemmeno una in più. Risuona ancora oggi. Ma il tasso di femminicidi è cresciuto invece di diminuire. C’è stato un calo, negli ultimi anni, ma la città è ben al di sopra della media nazionale: muoiono per femminicidio 3,2 donne ogni 100. Ne sono scomparse 1700 in 30 anni, e 500 sono state uccise, secondo una lettera aperta indirizzata a Papa Francesco da un sacerdote della zona, pubblicata su Il Sismografo.