Nota Papa Francesco: “Il dramma della disinformazione è lo screditamento dell’altro, la sua rappresentazione come nemico, fino a una demonizzazione che può fomentare conflitti. Le notizie false rivelano così la presenza di atteggiamenti al tempo stesso intolleranti e ipersensibili, con il solo esito che l’arroganza e l’odio rischiano di dilagare. A ciò conduce, in ultima analisi, la falsità”.
Come riconoscere le fake news? Il Papa loda le iniziative che permettono di “leggere e valutare il contesto comunicativo” per essere “attori dello svelamento” della disinformazione; così come apprezza le iniziative giuridiche che “definiscono normative per arginare il fenomeno”, e quelle per “definire nuovi criteri per la verifica delle identità personali che si nascondono dietro ai milioni di profili digitali”.
Ma ci vuole “discernimento” per smascherare “la logica del serpente” capace “ovunque di camuffarsi e mordere”, come succede nella Genesi, quando il serpente convince Eva a mangiare del frutto proibito. Il modo in cui il serpente rovescia il ragionamento paterno di Dio porta il Papa a sottolineare che “nessuna disinformazione è innocua”, e anzi “fidarsi di ciò che è falso produce conseguenze nefaste”, perché “anche una distorsione della verità in apparenza lieve può avere effetti pericolosi”.
Papa Francesco mette in luce come la diffusione virale di fake news non avvenga a causa della logica di condivisione dei social media, quanto piuttosto “per la loro presa sulla bramosia insaziabile che facilmente si accende nell’essere umano”. E in fondo, la “sete di potere, avere e godere” è alla base delle “motivazioni economiche e opportunistiche della disinformazione”, che ci priva “della libertà del cuore” muovendosi di falsità in falsità.
“Ecco perché – sottolinea il Papa - educare alla verità significa educare a discernere, a valutare e ponderare i desideri e le inclinazioni che si muovono dentro di noi, per non trovarci privi di bene ‘abboccando’ ad ogni tentazione”.
Per Papa Francesco, “Il più radicale antidoto al virus della falsità è lasciarsi purificare dalla verità”, che per i cristiani “non è solo una realtà concettuale, che riguarda il giudizio sulle cose, definendole vere o false”, né è “soltanto il portare alla luce cose oscure”, ma ha piuttosto a che fare “con la vita intera”, è “ciò su cui ci si può appoggiare per non cadere”, e l’unico su cui si può appoggiare, l’unico “veramente affidabile e degno di fiducia” è il “Dio vivente”.
“Per discernere la verità – afferma Papa Francesco - occorre vagliare ciò che asseconda la comunione e promuove il bene e ciò che, al contrario, tende a isolare, dividere e contrapporre”.
Perché la verità “sgorga da relazioi libere tra persone”, nell’ascolto reciproco, e “non si smette mai di ricercare la verità, perché qualcosa di falso può sempre insinuarsi, anche su cose vere, perché “un’argomentazione impeccabile può infatti poggiare su fatti innegabili, ma se è utilizzata per ferire l’altro o per screditarlo agli occhi degli altri non è abitata dalla verità”.
Per il Papa, si comprende la verità dai frutti, dal fatto se questi “suscitano polemica, fomentano divisioni, infondono rassegnazione” o se “conducono ad una riflessione consapevole e matura, al dialogo costruttivo, ad un’operosità proficua”.
E per questo “il migliore antidoto contro le falsità – dice il Papa – non sono le strategie, ma le persone”. Il Papa sottolinea la responsabilità dei giornalisti, “custode delle notizie”, che svolge non un mestiere, ma una “vera e propria missione” di “ricordare che al centro della notizia non ci sono la velocità nel darla e l’impatto sull’audience ma le persone”, nonostante “la frenesia delle notizie” e “il vortice degli scoop”.
Per questo – rimarca Papa Francesco – “l’accuratezza delle fonti e la custodia della comunicazione sono veri e propri processi di sviluppo del bene, che generano fiducia e aprono vie di comunione e di pace”.
Da qui l’invito a promuovere “un giornalismo di pace”, che non significa “buonista”, ma un giornalismo “senza infingimenti, ostile alle falsità, a slogan ad effetto e a dichiarazioni roboanti”, fatto da “persone per le persone, e che si comprende come servizio a tutte le persone, specialmente a quelle – sono al mondo la maggioranza – che non hanno voce”.
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Un giornalismo, in sintesi, che “non bruci le notizie, ma che si impegni nella ricerca delle cause reali dei conflitti, per favorirne la comprensione dalle radici e il superamento attraverso l’avviamento di processi virtuosi; un giornalismo impegnato a indicare soluzioni alternative alle escalation del clamore e della violenza verbale”.
Il Papa conclude il messaggio con una preghiera modellata sulla "Preghiera semplice". Questa è stata pubblicata per la prima volta in francese nel dicembre 1912, nella rivista ecclesiastica La Clochette, in Francia, con il titolo: Belle prière à faire pendant la Messe (Bella preghiera da recitare durante la Messa).
Tradizionalmente la preghiera è stata attribuita a san Francesco d’Assisi. Partendo dall'ambiente francese, arrivando fino all'allora Segretario di Stato vaticano, il Cardinale Gasparri, la preghiera ebbe rapida diffusione, fino a diventare una sorta di preghiera per la pace universale, che ha anche avuto una influenza nella scelta di Assisi come scenario della prima giornata di preghiera e digiuno per la pace con tutti i rappresentanti delle religioni da San Giovanni Paolo II nel 1986.
Il francescano padre Pietro Messa, in una pubblicazione che recensiva il libro di Christian Renoux "La preghiera per la pace attribuita a San Francesco: un enigma da risolvere", ricorda che la preghiera fu pubblicata il 20 gennaio 1916 dall’Osservatore Romano "con una traduzione italiana, preceduta dal titolo Le preghiere del «Souvenir Normand» per la pace, nella quale vennero introdotte altre varianti rispetto all’originale del 1912. Mediante l’Osservatore Romano la nostra preghiera ottiene una grande diffusione e viene ripresa da La Croix che la pubblica il 28 gennaio 1916. L’interesse per questa preghiera crebbe e monsignor Alexandre Pons la pubblicò assieme a una sua conferenza definendola «une prière très ancienne»."
Non ci sono però prove che sia effettivamente di San Francesco, e il libro di Renoux lo esclude. L'autore è probabilmente Esther Auguste Bouquerel (1855-1923), sacerdote della Normandia che era redattore de La Clochette. Ma resta una questione aperta, finché non si troveranno almeno scritti personali di Bouquerel.
Si sa però che la preghiera cominciò a diffondersi anche perché proprio in quegli anni Benedetto XV aveva caratterizzato il suo pontificato sul tema della pace.