Il comma 3 del Codice di Diritto Canonico, secondo la vecchia dicitura, affermava che le Conferenze Episcopali sono chiamate a “preparare le versioni dei libri liturgici nelle lingue correnti, dopo averle adattate convenientemente entro i limiti definiti negli stessi libri liturgici, e pubblicarle, previa autorizzazione della Santa Sede”.
La nuova formulazione sottolinea che le Conferenze Episcopali sono chiamate a preparare “fedelmente” le versioni dei libri liturgici nelle lingue correnti”, che devono essere “adattate convenientemente entro i limiti definiti, approvarle e pubblicare I libri liturgici, per le regioni di loro pertinenza, dopo la conferma della Sede Apostolica”.
Anche questa modifica ristabilisce la centralità della Sede Apostolica, chiamata a vigilare sulle edizioni e le modifiche.
Le modifiche non sono di poco conto, e vanno a toccare anche la Pastor Bonus, la Costituzione Pastorale che regola funzioni e competenze degli organismi di Curia, perché cambia anche il ruolo della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.
Spiega in una nota l’arcivescovo Arthur Roche, segretario della Congregazione, che “lo scopo della modifica è definire meglio i ruoli della Sede apostolica e delle conferenze dei vescovi, chiamate a operare in dialogo tra loro, nel rispetto della propria competenza, che è differente e complementare, in ordine alla traduzione dei libri tipici latini, come degli eventuali adattamenti, che possono riguardare testi e riti. E ciò al servizio della preghiera liturgica del popolo di Dio”.
L’arcivescovo Roche chiarisce che la modifica delle norme riguarda i temi della ricognitio e della confirmatio, ovvero del riconoscimento dei cambiamenti e della conferma dei cambiamenti dei testi liturgici.
La recognitio è l’oggetto del cambiamento del comma 2 del canone 838, ed implica – sottolinea il numero 2 del Culto Divino – “il processo di riconoscimento da parte della Sede apostolica dei legittimi adattamenti liturgici, compresi quelli ‘più profondi’, che le conferenze episcopali possono stabilire e approvare per i loro territori, nei limiti consentiti”. La Sede Apostolica è così chiamata a “rivedere e valutare tali adattamenti” per salvaguardare il rito romano.
La ricognitio è invece l’oggetto della modifica del numero 3 del canone. L’arcivescovo Roche sottolinea che le versioni devono essere compiute “fideliter” secondo i testi principali, e “non si configura come un intervento alternativo di traduzione , ma come un atto autoritativo con il quale il dicastero competente ratifica l’approvazione dei vescovi”, cosa che presuppone “una positiva valutazione della fedeltà e della congruenza dei testi prodotti rispetto all’edizione tipica su cui si fonda l’unità del rito”.
Proprio l’unità del rito è lo scopo principale del motu proprio. Papa Francesco sottolinea nel motu proprio che, dato che nel corso del tempo si sono notate delle difficoltà tra Conferenze Episcopali e Sede Apostolica, c’era biogno di una modifica “affinché continui il rinnovamento dell’intera vita liturgica”, riaffermando e mettendo in pratica “alcuni principi trasmessi sin dal tempo del Concilio.”
E il criterio segnalato è quello di “prestare attenzione all’utilità e al bene dei fedeli”, senza “dimenticare il diritto e l’onere delle Conferenze Episcopali che, insieme con le Conferenze Episcopali di regioni aventi la medesima lingua e con la Sede Apostolica, devono far sì e stabilire che, salvaguardata l’indole di ciascuna lingua, sia reso pienamente e fedelmente il senso del testo originale e che i libri liturgici tradotti, anche dopo gli adattamenti, sempre rifulgano per l’unità del Rito Romano”.
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