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“Papa Francesco, le persone in Ucraina soffrono”

Papa Francesco con il Sinodo Permanente della Chiesa Greco Cattolica Ucraina | Papa Francesco incontra i membri del Sinodo Permanente della Chiesa Greco-Cattolica Ucraina, 5 marzo 2016  | © L'Osservatore Romano Papa Francesco con il Sinodo Permanente della Chiesa Greco Cattolica Ucraina | Papa Francesco incontra i membri del Sinodo Permanente della Chiesa Greco-Cattolica Ucraina, 5 marzo 2016 | © L'Osservatore Romano

“Santo Padre, le persone soffrono, aspettano il tuo abbraccio, l’attivo supporto della comunione cattolica e di tutto il popolo di buona volontà”. Il sinodo permanente della Chiesa Greco Cattolica di Ucraina termina il Sinodo Permanente con una dichiarazione congiunta rivolta direttamente al Papa. Una dichiarazione nella quale ripercorrono la storia e le sofferenze del popolo ucraino, al quale dimostrano vicinanza. Una dichiarazione nella quale non mancano di stigmatizzare “l’aggressione” subita dall’Ucraina.

Hanno incontrato Papa Francesco lo scorso 5 marzo, e l’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk ha parlato con il Papa francamente. Si conoscono da anni, il capo della Chiesa Greco-Cattolica ucraina ha guidato l’eparchia di Buenos Aires quando il Cardinal Jorge Mario Bergoglio era arcivescovo lì. Con franchezza, ha fatto capire la sofferenza del popolo ucraino, il senso di tradimento per la dichiarazione congiunta tra il Papa e il Patriarca Kirill, che quasi derubricava la Chiesa Greco-Cattolica di Ucraina a comunità ecclesiale. Come se fosse una qualunque comunità protestante. Troppo, per una Chiesa da sempre ferita per aver mantenuto fedeltà e comunione a Roma, nonostante l’essere rimasta fedele alla tradizione ortodossa.

Papa Francesco ha compreso. Ha incoraggiato la fedeltà e la missione della Chiesa greco-cattolica in Ucraina con un messaggio che ha voluto fosse consegnato dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati. Una risposta diplomatica a un vulnus diplomatico, perché tale era in fondo l’incontro con il Patriarcato di Mosca, privo come era di un momento di preghiera e fuori da ogni spazio che potesse considerarsi sacro.

La Chiesa greco-cattolica di Ucraina ha compreso, apprezzato la vicinanza del Papa. Ma ha rilanciato la sua posizione, in un lungo comunicato che in fondo rappresenta la summa di tutto quello che hanno provato i greco cattolici nella nazione. Con un riferimento particolare allo pseudo-Sinodo di Lviv, di cui quasi si celebra il 70esimo anniversario, che soppresse di fatto i cattolici di rito orientale dell’Ucraina. E con il rimarcare la decisione simbolica di fare sì che questo sinodo avesse luogo a Roma, perché l’unione con Roma fosse visibile.

L’Ucraina è descritta come una nazione che vive la guerra, una “radicale violazione della volontà di Dio”, che nel territorio ucraino si è delineata come “un nuovo tipo di massacro, una guerra ibrida diretta alla sovranità, alle possibilità economiche, alla memoria storica e al pubblico internazionale”. “Una nazione europea è stata invasa, la sua terra annessa, la sua infrastruttura industriale distrutta, la sua economia distrutta”.

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E per questo “la libertà, l’autodeterminazione, la giustizia, lo Stato sociale delle persone sono sotto attacco”, mentre una “sofisticata propaganda” mette in discussione la stessa identità degli ucraini. Una propaganda che i vescovi greco-cattolici di ucraina paragonano a quella nazista e sovietica.

Un mondo – quello sovietico – che ancora corrode la società ucraina, la quale “reclama la dignità umana reclamata da Dio” e vuole rompere con il passato sovietico, che era “genocida, coloniale, imperialistico, ferocemente ateo e profondamente corrotto”.

I vescovi greco-cattolici riuniti in Sinodo ricordano come l’Ucraina si sia trasformata in una “terra di sangue” a causa di dittature rosse e brune, tanto che 15 milioni di persone sono state uccise sul territorio ucraino nel corso di due guerre, includendo le vittime di genocidi come quello di Holodomor (l’uccisione attraverso la fame) e l’Olocausto. Quasi un piano di “dittatori senza Dio” che volevano “sradicare fede e valori e distruggere la cultura e l’aiuto sociale delle persone per dominare, controllare e sfruttare la nozione”. Così “l’aborto divenne parte della politica di Stato, l’alcolismo divenne rampante, tutte le Chiese e religioni che erano state a fianco della popolazione perseguitata erano diventate primi obiettivi della repressione”, e “per tre generazioni il terrore era stato promosso, ed era diventato esplicitamente parte della politica di Stato”.

Poi, l’Unione Sovietica nel 1991 si dissolse in maniera pacifica. Ma il sovietismo non scomparì, per alcuni – ricorda il Sinodo permanente della Chiesa greco-cattolica – “la caduta dell’Unione Sovietica era la più grande tragedia del 20esimo secolo”, altri cercarono di ripristinare il osvietismo, e così le nazioni post-sovietiche sperimentarono “politiche repressive, autorevoli e cleptomani”, mentre il popolo continuava a soffrere e “la Chiesa greco-cattolica ucraina rimaneva solidale con il popolo, proponendo in maniera sistematica alla società la dottrina sociale della Chiesa”.

E così ha contribuito al movimento di coscienza che ha portato i cittadini ucraini a manifestare a piazza Maidan per porre fine a corruzione e ingiustizia sistematica, riaffermando la dignità umana e allo stesso tempo “sperimentando un autentico ecumenismo in azione”, un “desiderio per una piena e visibile unità Cristiana.” Insomma, una nuova unità, una nuova solidarietà, una nuova responsabilità per una nazione rinnovata.

Ricorda il sinodo permanente che le proteste furono accompagnate dalle preghiere di tutte le comunità religiose di Ucraina, e “questa manifestazione di solidarietà e sacrificio affascinò il mondo”. Ma altri pensavano “fosse necessario fermare questo nuovo senso di libertà, dignità e responsabilità civica” perché si sarebbe potuto diffondere ai vicini ucraini. Per questo, “negli ultimi due anni, l’intera nazione ucraina sperimenta la pressione del vicino del Nord nostalgico per l’eredità sovietica di grandeur imperiale”. Un agenda di abusi che “cerca una legittimazione internazionale e coltiva l’inimicizia e il rifiuto della volontà del popolo ucraino”.

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Il riferimento alla Russia è tacito, ma evidente. “Siamo sotto una violenta invasione estera e abbiamo bisogno della tua leadership morale e del tuo aiuto caritatevole”, scrivono i vescovi greco-cattolici, rivolgendosi al Papa. Fanno il conto delle vittime: circa 10 mila sono stati uccisi secondo stime ufficiali, molti di più secondo stime non ufficiali; decine di migliaia sono i feriti; 5 milioni vivono le conseguenze della guerra, e almeno metà sono diventati rifugiati; altri 2 milioni sono sfollati, tra cui quasi 300 mila bambini, mentre più di mezzo milione di persone è stato costretto a lasciare la nazione negli ultimi due anni.

“E’ la più grande crisi umanitaria in Europa dalla fine della Seconda Guerra mondiale,” dicono i vescovi. Eppure, il “cuore grande” del popolo ucraino si fa sentire: accolgono rifugiati (circa 2 milioni), si prendono cura di feriti, senza tetto, orfani e vedovi”, nonostante le uccisioni continuino. E’ una “Europa messa in crisi nel suo cuore”. “Quanto spazio c’è nel cuore dell’Europa?”, si chiede il Sinodo permanente ucraino. Perché la crisi dei rifugiati la tocca nel cuore, ora ce ne sono altri che bussano alle porte, e “le fondamenta cristiane dell’Europa vengono messe alla prova”.

Tutto questo i vescovi ucraini hanno spiegato al Papa. E condannano ancora “atrocità, rapimenti, arresti e tortura dei cittadini ucraini in Donbas e Crimea”, specialmente quando sono diretti a gruppi etnici come i musulmani tartari. “Come cristiani, siamo pronti a perdonare e cercare pace. Annunciamo e promuoviamo in maniera attiva la pace e il perdono. Ma la pace vera non si otterrà finché non cesserà l’invasione e la guerra non sarà fermata”.

Tra le ferite, lo pseudo Sinodo di Lvivi, “orchestrato dall’8 al 10 marzo 1946 dal regime di Stalin per liquidare la Chiesa Greco Cattolica”. Un sinodo – denunciano i vescovi della Chiesa greco-cattolico ucraina – che ebbe luogo “senza alcun vescovo Greco cattolico, dato che erano stati tutti imprigionati”. Ma nessuno di loro “rinunciò alla comunione con Roma, nonostante torture, lunghe condanne alla prigionia, persino sentenze di morte. Fu così che “la Chiesa Greco-Cattolica Ucraina divenne la più grande Chiesa completamente fuorilegge nel mondo”, le cui proprietà “furono trasferite alla Chiesa Ortodossa del Patriarcato di Mosca” oppure “confiscate e usate per scopi secolari”.

Stalin voleva tagliare ogni legame con Roma, e i vescovi pagarono cara la loro fedeltà: in molti morirono nei gulag. Eppure la Chiesa Greco Cattolica Ucraina è rimasta viva, mentre il regime sovietico è morto, e conta la vitalità di 33 eparchie ed esarcati con 53 vescovi. Da 3000 sacerdoti, ne erano rimasti 300 nel 1989. Oggi ce ne sono di nuovo circa 3000, età media 38 anni. È una Chiesa viva, il cui sinodo permanente è andato a Roma “per riaffermare la comunione con il Santo Padre e portare testimonianza della nostra comunione con la Chiesa Cattolica”.

Una fedeltà che la Chiesa greco-cattolica di ucraina, “ha dimostrato con il sangue” nel corso degli anni, e che ora è coinvolta nel promuovere la pace. Motivo per cui si è appellata al Papa perché dica una parola per fermare la guerra e argini “la crisi umanitaria causata dall’invasione della Russia”.

La Chiesa greco-cattolica ucraina apprezza il messaggio del Papa, che ha “riconosciuto la fedeltà e la testimonianza eroica” portata da generazioni di Greco Cattolici, e ora chiede al Papa che “inizi e supporti nuovi passi per aiutare ad alleviare” la sofferenza di milioni di ucraini, e che parli “a nome loro” incoraggiando per loro “aiuto internazionale”. La Chiesa greco-cattolica di Ucraina garantisce il supporto, e il servizio al popolo ucraino, per “cooperare in un ben coordinato piano che include corpi governativi e non governativi”.

Il messaggio è chiaro: i vescovi del Sinodo Permanente della Chiesa greco-cattolica ne hanno abbastanza della sofferenza. Ora è tempo per loro di una nuova pagina. Magari da girare con l’aiuto del Papa.