La questione ucraina
Anche Giovanni Paolo II puntava ad un ecumenismo reale. Da polacco, conosceva la storia della regione, sapeva come confrontarsi con il peso sovietico. Aveva avuto slanci di grande apertura, come la sua disponibilità a rivedere il primato papale lanciato già nell’enciclica Ut Unum Sint del 1995. Allo stesso tempo, voleva un dialogo franco, basato sulla verità. E la storia spesso è un ostacolo.
Lo è in particolare per la questione ucraina, il vero convitato di pietra di questo viaggio. Perché è l’Ucraina il terreno dove più di tutti il patriarcato ortodosso si è scontrato, battuto e ha attaccato la Chiesa cattolica. Il patriarcato di Mosca fu stabilito solo nel 1589, ma per lunghi periodi di storia fu cancellato: prima dagli zar dal 1700 al 1917, poi dai bolscevichi dal 1925 al 1943. Quando si ricostituì, era legato mani e piedi al governo di Mosca. E tutti i vescovi ortodossi dovevano in qualche modo “pagare pegno” al Kgb, giurando fedeltà. Anche il Patriarca Kirill è un ex colonnello del Kgb.
Ma lo stesso patriarcato di Mosca nasce come entità politica, prima che religiosa. Il Metropolita di Mosca – che era inizialmente sotto il Patriarcato di Costantinopoli – esiste solo dal 1448. E, per tradizione, il capo della Chiesa di tutta la Rus’, che includeva gli attuali territori di Ucraina, Bielorussia e Russia, era il Metropolita di Kiev in Ucraina. Quando poi il metropolita di Kiev Isidoro decise di prendere parte al Concilio di Firenze nel 1439, e lì supportò l’unione con Roma, allora Mosca decise di creare la posizione del metropolita di Mosca. Che tra l’altro il mondo ortodosso non riconobbe per diverso tempo.
C’è stato dunque un periodo in cui Kiev era fedele sia a Roma che a Costantinopoli. Con l’Unione di Brest del 1596, il metropolitano ortodosso Michael Rohoza e buona parte dei suoi vescovi confluirono sotto la Chiesa Cattolica Romana, mantenendo le loro tradizioni. Sono l’attuale Chiesa greco cattolica, ed è la più grande delle 22 Chiese di Rito Orientale nella Chiesa Cattolica Romana. Dall’unione di Brest viene il termine “uniati”, che sono ancora una ferita aperta per l’ortodossia russa.
Questa Chiesa mantenne una sua autonomia, e poi fu reintrodotta nella Chiesa Ortodossa Russa con lo pseudo-sinodo di Lviv nel 1946. Un sinodo che – ha denunciato in un lungo saggio Andriy Chirovsky, direttore della rivista Logos – “fu orchestrato dalla polizia segreta su ordine di Stalin, con la complicità diretta del Patriarcato di Mosca”. La situazione tornò alla normalità nel 1989, e la Chiesa Greco-Cattolica poté risorgere.
Verso una riconciliazione?
Ma ora la questione “uniate” è una ferita ancora più aperta per via del conflitto in Ucraina. Perché la Chiesa greco-cattolica è stata attiva e presente sul territorio e con la popolazione, e la Russia vede la sua influenza decrescere sulla regione. Tanto che Hilarion attaccò pubblicamente la Chiesa Greco-Cattolica per una sorta di supposto interventismo durante il Sinodo 2014. E nemmeno gli sforzi ecumenici della Chiesa Greco-Cattolica sono apprezzati.
Con un documento sulla “Concezione della posizione ecumenica della Chiesa greco-cattolica ucraina”, la Chiesa Greco-Cattolica ha dato anche la disponibilità a impegnarsi in un processo di riconciliazione.
Si legge nel documento: “Tenendo presente che la distanza di tempo che ci divide dai conflitti storici non è ancora sufficiente per superarli facilmente, e prendendo in considerazione il fatto che una certa parte di tali conflitti continua a divampare fino ad oggi, la Chiesa greco-cattolica ucraina ha intenzione di attenersi alla ‘tattica dei piccoli passi’, tramite la quale è possibile accumulare gradualmente il capitale della fiducia e della cooperazione”.
A questo documento, la Chiesa ortodossa russa ha risposto il 28 gennaio, con una dichiarazione dalle parole fortissime che metteva in serio dubbio la ricostruzione storica del documento greco-cattolico e in pratica diceva che non c’era spazio per alcun tipo di dialogo, anche perché la Chiesa greco-cattolica partecipa ai tavoli con gli “scismatici”, ovvero con le chiese ortodosse autocefale presenti in Ucraina che non sono sotto la giurisdizione di Mosca.
Cosa farà il Papa per i greco-cattolici in Ucraina? Fino ad oggi, Papa Francesco ha mantenuto un atteggiamento interlocutorio, e in un Angelus ha persino derubricato il conflitto come “fratricida”. Parola che non è piaciuta ai greco-cattolici, che invece denunciano l’aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina – e tra l’altro la Russia ha di fatto annesso la Crimea.
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La questione russa
La politica estera russa è un altro convitato di pietra di questo incontro. La Russia si è dimostrata grande alleato di Papa Francesco nel conflitto siriano. Si è impegnata, nel 2013, ad evitare quell’intervento della NATO che Papa Francesco voleva scongiurare attraverso la giornata di digiuno e di preghiera per la Siria. A novembre del 2013, poi, il presidente Vladimir Putin è andato in visita a Papa Francesco, e vi è tornato nel 2015. I raid in Siria hanno isolato la Russia nella comunità internazionale, le operazioni nel Donbass e in Crimea l’hanno messa ai margini del progetto europeo. Ora che la Chiesa ortodossa russa può mostrarsi a fianco di Francesco, anche l’immagine della politica estera russa può trarne beneficio.
Perché, in fondo, Patriarcato di Mosca e governo sono legati a doppio filo. Lo stesso Vladimir Putin, uno dei 2 milioni soldati dell’Armata Rossa rimandati a casa con la fine della Guerra Fredda, ha trovato conforto nella religione, si è trovato un padre spirituale, ha avviato un percorso di conversione. Il Patriarca Kirill ha seguito questo percorso di conversione, conosceva Putin dai tempi del Kgb, e si è mostrato a fianco a lui in più di una circostanza. Non è un segreto che il patriarcato ortodosso funga un po’ da “ministero degli Esteri ombra” di Putin.
Il quale ha sicuramente dato la luce verde all’incontro. Che tra l’altro avviene a Cuba, una delle ultime roccaforti comuniste, dove gli ortodossi tradizionalmente hanno avuto più influenza dei cattolici (che pure sono maggiori in numero) proprio per la vicinanza con l’Unione Sovietica.
Secondo alcuni osservatori, Kirill starebbe cercando di staccarsi dall’ombra di Putin, per diventare un leader globale riconosciuto e senza alcuna connotazione politico-territoriale. Per questo motivo, Kirill non avrebbe partecipato alla riunione in cui Putin annunciò a tutti, anche ai rappresentanti religiosi, che “la Crimea è nostra”: per mostrare un disaccordo con la politica espansionista di Putin.
Ma è anche vero che, con l’incontro, Kirill non fa un favore solo a se stesso, ma anche all’amministrazione russa, dando slancio all’intenzione di Putin di farsi promuovere come “difensore dei cristiani del Medioriente”.