Auschwitz-Birkenau , domenica, 14. agosto, 2016 10:00 (ACI Stampa).
Il suo nome da radioamatore è SP3RN. Ma tutti lo conoscono come San Massimiliano Kolbe, il “prete cattolico” morto ad Auschwitz il 14 agosto di 75 anni fa. “Un martire dell’amore”, disse di lui Paolo VI, quando lo beatificò nel 1971. “Un apostolo dei nuovi media”, lo ha descritto padre Marco Tasca, ministro generale dei Minori conventuali, quando Papa Francesco è andato ad Auschwitz e si è fermato in preghiera nella cella dove padre Kolbe morì.
Eppure, quella sigla da radioamatore racconta una storia che merita di essere raccontata. È stata messa in disparte dall’eccezionalità della vita, da quella scelta di prendere il posto di uno dei condannati nel campo perché aveva famiglia, dal modo in cui ha affrontato il martirio, confortando e consolando tutti gli altri condannati, fino alle parole dette al carceriere che gli diede la morte con una iniezione letale dopo che la fame e la sete non lo riuscivano a stroncare, a lui, pure debole, senza un polmone e malato di tisi: “Lei non ha capito niente della vita… l’odio non serve a niente… solo l’amore crea”.
In quella sigla c’è l’essenza di una vita fatta per l’evangelizzazione. Una evangelizzazione viva, portata avanti attraverso i moderni mezzi di comunicazione. Aveva avuto una apparizione della Madonna quando aveva dieci anni, e da allora si era impegnato moltissimo a portare avanti questo carisma. Una rivista da lui fondata, “Il Cavaliere dell’Immacolata”, raggiunse presto la diffusione di 1 milione di copie.
E allora trasportò la sua esperienza da missionario in Giappone. Nel 1927, vicino Varsavia, aveva fondato Niepokalanow, la “Città dell’Immacolata”, che divenne presto uno dei più grandi conventi di Europa, con quasi mille frati a popolarlo. Fece lo tesso in Giappone, dove arrivò nel 1930 e fondò il conventò-città Mugenzai no Sono (“Giardino dell’Immacolata”), con una versione in giapponese della rivista.
Giovanni Paolo II visitò questo convento durante il suo viaggio in Giappone nel 1981. Ai frati che popolavano il convento, San Giovanni Paolo II ricordò che padre Kolbe “quando arrivò in Giappone nel 1930, egli volle immediatamente realizzare, in un ambiente giapponese, ciò che aveva scoperto come sua missione speciale: promuovere la devozione alla Vergine ed essere strumento di evangelizzazione attraverso la parola stampata”.