Città del Vaticano , lunedì, 27. febbraio, 2017 14:00 (ACI Stampa).
Le agenzie di stampa hanno dato risalto al fatto che per la prima volta in Italia dirigenti dell’Istituto delle Opere di Religione (lo “IOR” erroneamente detto “banca vaticana”) sono stati condannati per una violazione delle norme antiriciclaggio. Ma questo è solo un lato della storia. In realtà, Paolo Cipriani e Massimo Tulli, direttore generale e suo vice ai tempi dei fatti, sono stati riconosciuti colpevoli di solo 3 dei 9 capi di imputazione. E sono 3 capi di imputazione minori rispetto a quelli che costituivano l’impianto principale del processo e che avevano catturato l’attenzione dell’opinione pubblica.
La storia inizia con un sequestro preventivo adottato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma nel 2010. Il sequestro era stato disposto perché lo IOR non avrebbe fornito le informazioni necessarie al Credito Artigiano (ora Credito Valtellinese) per attuare gli obblighi di “adeguata verifica rafforzata” (vale a dire l’identificazione del titolare e dell’origine dei fondi) previsti dalla normativa antiriciclaggio italiana, e applicati allo IOR, che in una comunicazione della Banca d’Italia alle banche italiane è qualificato come un ente situato in una giurisdizione non europea, che sempre la Banca d’Italia considera a regime antiriciclaggio “non equivalente” a quello italiano.
Dopo l’adozione delle Legge n. CXXVII (la prima legge antiriciclaggio vaticana), nel mese di giugno 2011 la Procura adotta un decreto di revoca del sequestro preventivo, che secondo l’ordinamento penale italiano è adottato quando “risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità”. Da notare la singolarità del provvedimento: il dissequestro sarebbe stato motivato con l’adozione di una legge generale. Ma sarebbe stato questo sufficiente a colmare la presunta carenza di informazioni nel caso concreto? Evidentemente no. Si trattava forse di un messaggio per le Autorità Oltre Tevere?
Sta di fatto che la Santa Sede ha avviato una riforma del sistema antiriciclaggio, inclusa l’abrogazione e sostituzione della Legge n. CXXVII, anche sulla base delle perplessità manifestate dal Comitato Moneyval del Consiglio d’Europa, al quale la Santa Sede ha aderito nel 2011.
Un cambio di marcia, quest’ultimo, che sembra indicare il passaggio da una prima fase, segnata da soluzioni legislative forse condizionate dall’urgenza di risolvere problemi concreti a livello bilaterale, ad una seconda fase, orientata ad una politica più ampia e tesa allo stabilimento di un sistema stabile nel lungo periodo.