Ieri sera a conclusione dei lavori anche Papa Francesco ha tenuto un discorso. Un testo centrato sul metodo più che sul contenuto del Sinodo. Un testo che parla di misericordia, della necessità di scuotere le coscienze, e del rischio di coprire la Novità cristiana con la “ruggine di un linguaggio arcaico”, ma anche della necessaria chiamata alla conversione per arrivare alla salvezza che offre Gesù.
Una riflessione simile a quella della omelia della messa di questa mattina nella Basilica vaticana celebrata insieme ai Padri sinodali.
Ora tutto è nelle sue mani. Perché dopo due anni di lavori sinodali in effetti per il popolo dei fedeli non ci sono sostanziali novità da riportare.
Nel documento si mettono in luce una serie di pratiche pastorali già ampiamente diffuse che nascono dalla Famliaris consortio, testo teologico e filosofico dal quale è nato per volontà di Giovanni Paolo II addirittura un Pontificio Consiglio, un strumento della Chiesa universale per la pastorale familiare. Segno della grande attenzione delle gerarchie ecclesiali ai problemi della famiglia. Nel 1981 fu un gesto davvero profetico. E in quell’anno Giovanni Paolo II volle anche un Pontificio Istituto per Studi su Matrimonio e Famiglia con sede nella università della diocesi di Roma, la Lateranense che è stato modello per molti istituti simili nel mondo.
Furono questi i frutti della Quinta Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo che tra il 26 settembre e il 25 ottobre 1980 discusse il tema della famiglia cristiana.
Certo, sono passati 35 anni, ma allora la visione fu profetica, e al centro della discussione c’erano i temi teologici con cui anche oggi si può costruire ogni pastorale familiare.
Il Sinodo del 2015 è stata certo una ottima occasione di incontro tra vescovi di varie parti del mondo, un confronto culturale che arricchisce reciprocamente la pastorale di ogni continente. Una occasione per approfondire la inculturazione di cui parla il Concilio Vaticano II.
La Chiesa è sempre in cammino, un cammino più che sinodale, un cammino di comunione sotto la guida di Pietro, ed ora è proprio Pietro che dovrà trasformare le opinioni in Magistero.
A cominciare dalle spinose questioni che mediaticamente hanno preso il sopravvento, come l’accesso ai sacramenti per i divorziati che vivono una seconda unione.
Il Sinodo non ha sciolto, come sperava qualcuno, il nodo. E del resto non poteva farlo. Anzi ha lasciato un testo ambiguo e generico che comunque afferma che i fedeli in questa situazione devono prendere “coscienza della loro situazione davanti a Dio” e quindi “il colloquio con il sacerdote in foro interno (leggi in confessione) concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere.”
Tutto rimane com’è, a dispetto dei titoli sparati di certa stampa.
Un punto è stato chiaro per tutti e fortemente sottolineato: la Chiesa non accetta che la famiglia, come dice il Papa, sia colonizzata da certe ideologie come quella del gender.
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Per il resto la realtà bella è quella di famiglie impegnate a vivere cristianamente un sacramento con l’aiuto della grazia di Dio anche nelle più aspre difficoltà. E l’impegno è quello di una necessaria evangelizzazione in un mondo sempre più soffocato dal secolarismo e dall’indifferenza.
Il testo racchiude anche alcune concessioni sociologiche al vivere comune che, come ci ricorda spesso Papa Francesco, non è certo quello del cristiano che è chiamato ad essere “controcorrente”.
Il Sinodo, non solo dei vescovi ormai vista la ampia partecipazione anche di altri Padri, si è espresso. Alcune conferenze episcopali hanno già fatto sapere che faranno dei loro documenti più adatti alle loro realtà.
Un fatto positivo è che sul documento c’è stato un ampio consenso, come ricorda anche il cardinale Pell, che ha comunque dichiarato: “non ci sono sviluppi dottrinali, non ci sono sorprese dottrinali, non ci sono salti mortali dottrinali.”
Insomma tutto è come già è.