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Il Papa ai detenuti: "Chi ha sperimentato l’inferno può diventare profeta nella società"

Papa Francesco nel carcere di Ciudad Juarez |  | CTV
Papa Francesco nel carcere di Ciudad Juarez | CTV
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Papa Francesco nel carcere di Ciudad Juarez | CTV
Papa Francesco nel carcere di Ciudad Juarez |  | CTV
Papa Francesco nel carcere di Ciudad Juarez | CTV
Papa Francesco nel carcere di Ciudad Juarez |  | CTV
Papa Francesco nel carcere di Ciudad Juarez | CTV

Il primo appuntamento del Papa a Ciudad Juárez – ultima tappa del viaggio apostolico in Messico, la città dei migranti al confine con gli Stati Uniti – è la visita al penitenziario “Centro de Readaptación Social estatal n.3” .

Una volta ascoltate le testimonianze di una detenuta – Evila Quintana, 34 anni, mamma single di una bambina di 8 anni, dipendente di una banca accusata di aver operato con fondi illegali – il Papa ha preso la parola ricordando in primis che in questo anno si sta celebrando il Giubileo della Misericordia.

Qui, da un carcere, voglio “riaffermare una volta di più – ha detto Francesco – la fiducia alla quale Gesù ci incoraggia: la misericordia che abbraccia tutti e in tutti gli angoli della terra. Non c’è luogo dove la sua misericordia non possa giungere, non c’è spazio né persona che non possa toccare”.

“Celebrare il Giubileo della misericordia con voi  - ha aggiunto – è ricordare il cammino urgente che dobbiamo intraprendere per rompere i giri viziosi della violenza e della delinquenza. Già abbiamo perso diversi decenni pensando e credendo che tutto si risolve isolando, separando, incarcerando, togliendosi i problemi di torno, credendo che questi mezzi risolvano veramente i problemi”.

La nostra preoccupazione dev’essere, invece, “la vita delle persone; la loro vita, quella delle loro famiglie, quella di coloro che pure hanno sofferto a causa di questo giro vizioso della violenza. La misericordia divina ci ricorda che le carceri sono un sintomo di come stiamo come società, in molti casi sono un sintomo di silenzi e omissioni provocate dalla cultura dello scarto. Sono un sintomo di una cultura che ha smesso di scommettere sulla vita; di una società che è andata abbandonando i suoi figli”.

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Attraverso la misericordia – ha osservato il Pontefice – dobbiamo ricordare che “il reinserimento non comincia qui tra queste pareti, ma che comincia prima, fuori, nelle vie della città. Il reinserimento o la riabilitazione comincia creando un sistema che potremmo chiamare di salute sociale, vale a dire, una società che cerchi di non ammalarsi inquinando le relazioni nel quartiere, nelle scuole, nelle piazze, nelle vie, nelle abitazioni, in tutto lo spettro sociale. Un sistema di salute sociale che faccia in modo di generare una cultura che sia efficace e che cerchi di prevenire quelle situazioni, quelle vie che finiscono per ferire e deteriorare il tessuto sociale”.

“Il problema della sicurezza – ha detto ancora il Papa - non si risolve solamente incarcerando, ma è un appello a intervenire per affrontare le cause strutturali e culturali dell’insicurezza che colpiscono l’intero tessuto sociale. Nella capacità di una società di includere i suoi poveri, i suoi malati o i suoi detenuti risiede la possibilità per essi di poter sanare le loro ferite ed essere costruttori di una buona convivenza”.

Per questo motivo – ha aggiunto – “il reinserimento sociale inizia con la frequenza alla scuola di tutti i nostri figli e con un lavoro degno per le loro famiglie, creando spazi pubblici per il tempo libero e la ricreazione, abilitando le istanze di partecipazione civica, i servizi sanitari, l’accesso ai servizi basici, qui inizia ogni processo di reinserimento”.

Questa celebrazione giubilare ci deve fare imparare – ha esortato Francesco – “non rimanere prigionieri del passato, di ieri. È imparare ad aprire la porta al futuro, al domani: è credere che le cose possano essere differenti. Celebrare il Giubileo della misericordia con voi è invitarvi ad alzare la testa e a lavorare per ottenere tale desiderato spazio di libertà. Celebrare il Giubileo è ripetere la frase che dice non chiederti per che sei qui ma per che cosa, e questo per che cosa ci faccia saltare gli inganni sociali che credono che ordine e sicurezza si raggiungano solo incarcerando le persone”.

E’ vero che il passato non si può cambiare ma c’è “la possibilità di scrivere una nuova storia che guarda avanti. Voi soffrite il dolore della caduta, sentite il pentimento per i vostri atti. Avete conosciuto la forza del dolore e del peccato; non dimenticatevi che avete a disposizione anche la forza della risurrezione, la forza della misericordia divina che fa nuove tutte le cose. Impegnatevi fin da qui dentro a capovolgere le situazioni che generano ulteriore esclusione.  Chi ha sofferto profondamente il dolore e ha sperimentato l’inferno può diventare un profeta nella società. Lavorate perché questa società che usa e getta non continui a mietere vittime. Chi è senza peccato scagli la prima pietra, io non parlo dalla cattedra ma lo faccio dalla base dei miei peccati che il Signore ha perdonato e rieducato. Senza la sua grazia potrei tornare a ripeterli. Perché loro e non io sono in carcere? Questo è il mistero della misericordia e la celebriamo guardando avanti nella speranza!”.

Prima di incontrare i detenuti Francesco aveva incontrato i cappellani ed il personale del carcere. “Vi ringrazio per essere qui e per il bene che fate qui. Ed è un bene – aveva detto Papa Bergoglio - che spesso non si vede, si incontrano fragilità,  per questo è portato una immagine di Cristo sulla croce. Con la sua fragilità però ci salva e ci aiuta, ci apre le porte della speranza. Ognuno di voi semini questo seme di speranza”.

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