Nel tempo, la tomba di San Carlo è stata “messa in onore”, isolata rispetto all’altra zona del pavimento, e quando San Carlo fu canonizzato nel 1610 la tomba era diventata “una cappella ottagonale sotterranea”. Da allora – racconta monsignor Fontana – “questo luogo in Duomo che si trova esattamente sotto l’altare maggiore è un luogo molto caro ai milanesi. San Carlo divenne, insieme a Sant’Ambrogio, il più venerato dei santi vescovi di Milano, e sono una ventina!”
Lo “scurolo” è dunque un luogo di riferimento e preghiera “non solo per i fedeli, ma anche per i visitatori illustri”.
“Già dal 1610 – ricorda il liturgista milanese - iniziarono ad esserci queste visite, il Ducato di Milano apparteneva al regno di Spagna, visite anche di personaggi reali, e ciascuno portava un dono da lasciare. I duchi di Baviera lasciarono un corona, Maria Teresa d’Austria lasciò una croce, Giovanni Paolo II nel 1984 lasciò sul corpo di San Carlo il suo pallio papale usato poco prima per la celebrazione della Messa e dunque attualmente il corpo di San Carlo. Anche gli ultimi pontefici in visita a Milano vissero questo momento di raccoglimento e di preghiera che proprio la natura stessa dell’ambiente consente. Custodito nel silenzio, dove brilla la santità”.
Perché San Carlo è così amato? Perché la sua scelta di essere vescovo residente a Milano fu accolta con gioia, dato che da 50 anni i milanesi non conoscevano il loro arcivescovi, da prassi cooptati al servizio della Santa Sede e residenti a Roma, sostituiti da un vicario. Racconta monsignor Fontana che “quando si seppe che Carlo Borromeo primo tra tutti i vescovi dopo il Concilio di Trento volle andare a risiedere nella sede di cui era diventato vescovo i milanesi si meravigliarono molto e accolsero con uno straordinario entusiasmo la figura di un pastore che ritornava in messo al suo gregge”.
E poi, “la personalità di Carlo, molto dinamica, con il piglio del riformatore e dell’organizzatore, fece anche presa sul clero e sul popolo di Milano. Seppe riorganizzare tutta la diocesi e potremmo dire la Chiesa lombarda perché le altre diocesi ne furono a sua volta contagiate con questa opera di ricostruzione del tessuto ecclesiale. Nei suoi venti anni – non solo a livello centrale, riorganizzazione della Curia, fondazione di seminari, decine di collegi, le scuole della dottrina cristiana, raggiungendo tutte le parrocchie della diocesi, fino in Svizzera, andando ai confini Nord dell’Italia, nei cantoni svizzeri allora molto movimentati dalla riforma protestante, visitando anche le diocesi lombarde e questo lo faceva ogni anno dedicando circa metà dei mesi dell’anno a queste visite che portava i fedeli a vedere il loro”.
Molti seminari portano il suo nome anche in America Latina, ed è questo uno dei motivi per cui San Carlo non è un santo sconosciuto a Papa Francesco. E tra l’altro San Carlo è pure legato a Sant’Ignazio di Loyola, il fondatore della compagnia di Gesù, con il quale intratteneva corrispondenza.
“Oggi – conclude il monsignore - lo scurolo di San Carlo si trova all’incrocio della visita dei fedeli e di quella dei turisti perché entrambe le categorie, cui sono riservati degli spazi appositi nella Cattedrale, trovano nello scurolo un punto comune. Qualche turista si meraviglia di trovare un personaggio di cui ha sentito parlare negli studi di storia, mentre i milanesi non mancano di scendere per una preghiera a San Carlo. Dopo San Carlo tutti gli arcivescovi sono stati sepolti in Duomo. Questo comporta che un Milanese che viene in Duomo si ferma davanti ad uno degli arcivescovi che ha conosciuto – dal Cardinale Schuster al Cardinale Martini – e questo è un aspetto molto bello: i fedeli si ricordano dei loro pastori visitando la Cattedrale”.
Iscriviti alla nostra newsletter quotidiana
Ricevi ogni giorno le notizie sulla Chiesa nel mondo via email.