Città del Vaticano , martedì, 13. febbraio, 2018 14:00 (ACI Stampa).
Si terrà giovedì e venerdì prossimo il Simposio "Penitenza e Penitenzieria al tempo del giansenismo. Culture, teologie, prassi", giunto alla sesta edizione. Ad aprire i lavori nel Palazzo della Cancelleria a Roma sarà il "padrone di casa", il Cardinale Penitenziere Maggiore Mauro Piacenza, al quale ACI Stampa ha rivolto alcune domande su questo importante convegno.
Iniziamo dal Giansenismo. Papa Francesco lo indica spesso come un “pericolo” che corre anche oggi la cristianità. Ma di cosa si tratta?
Il giansenismo fu una corrente di pensiero che prese le mosse dalla celebre opera Augustinus del vescovo olandese Cornelius Jansen, più noto col nome di Giansenio (1585-1638), e che si diffuse in tutta Europa, con molteplici sfumature, nel corso dei Seicento e del Settecento.
Giansenio sosteneva che l’uomo fosse intrinsecamente e irrimediabilmente corrotto dal peccato e che la sua volontà fosse impotente ad agire per il bene senza l’indispensabile aiuto della grazia divina. Dio avrebbe predestinato ogni creatura all’inferno o al paradiso e Cristo sarebbe morto solo per i predestinati, ai quali soltanto sarebbe comunicata la grazia efficace che determina infallibilmente la volontà dell’uomo al bene.
Tale dottrina, annullando la libertà dell’uomo ed estremizzando il ruolo della grazia, portò ad un approccio rigoristico sul piano della morale. Di fronte a un Dio arbitro assoluto della nostra sorte, l'atteggiamento più spontaneo non è l'amore, ma il timore.
D’altra parte, i giansenisti combatterono ferocemente quanti, accusati di lassismo, dimostrarono all’opposto la tendenza a dissolvere l’osservanza della legge morale nell’esame talvolta capzioso dei singoli casi, finendo per giungere a negare l’obbligazione a favore dell’opinione di volta in volta più probabile.
Sappiamo bene come Papa Francesco abbia più volte condannato entrambe queste derive estremistiche, ancora oggi, seppure in ben diverse proporzioni, sono presenti nella cristianità. Nel 2014, per esempio, nell’annuale discorso ai Parroci di Roma, egli affermò che «né il lassista né il rigorista rende testimonianza a Gesù Cristo, perché né l’uno né l’altro si fa carico della persona che incontra. Il rigorista si lava le mani: infatti la inchioda alla legge intesa in modo freddo e rigido; il lassista invece solo apparentemente è misericordioso, ma in realtà non prende sul serio il problema di quella coscienza, minimizzando il peccato».
Il Simposio ormai alla VI edizione racconta la storia della Penitenza e della Penitenzieria Apostolica. Chi è interessato a seguirlo oltre gli storici?
Certamente i Simposi si rivolgono principalmente a un pubblico specialista, composto trasversalmente non solo da storici, ma anche da teologi, giuristi, moralisti, esperti di storia delle idee religiose e della prassi ecclesiale. Sin dalla prima edizione nel 2009, inoltre, notevole è stato l’interesse riscosso presso gli studenti delle Università Pontificie e Statali di Roma.
Tuttavia, poiché scopo del convegno non è semplicemente rievocare idee del lontano passato ma fornire spunti che interpellino ancora le coscienze dei cristiani di oggi, ritengo che le tematiche che saranno trattate potranno contribuire a far riscoprire l’importanza del sacramento della Riconciliazione per ciascuno di noi. Le controversie sulla dottrina e la morale che infervorarono il Seicento e il Settecento ci interrogano profondamente sulla nostra attuale capacità di vivere il sacramento e la virtù della penitenza.