I temi però non saranno tutti quelli preventivati. Erano otto i documenti da approvare, e ne sono stati approvati la metà: sull’autonomia della Chiesa e la maniera di proclamarla; sull’importanza del digiuno e la sua osservanza oggi; sule relazioni tra la Chiesa ortodossa e il resto del mondo cristiano; sulla missione della Chiesa ortodossa nel mondo contemporaneo in ordine alla pace, alla fratellanza e alla libertà fra i popoli.
I temi non approvati riguardano invece: l’autocefalia delle Chiese nazionali e il processo che può attuare; i dittici, ossia l’ordine gerarchico tra la Chiesa e il suo riconoscimento nelle celebrazioni liturgiche; la fissazione di un calendario comune tra le Chiese ortodosse e in prospettiva tra tutte le Chiese cristiane, in particolare sulla data della Pasqua. Un tema, quest’ultimo, su cui si impegnando anche il primate anglicano Justin Welby, ma che non trova il consenso del Patriarca di Mosca, Kirill, che si è dimostrato particolarmente contrario.
Se Bartolomeo è stato il principale promotore del Grande e Santo Concilio, il patriarca di Mosca è stato forse colui che più di tutti ha cercato di esercitare una influenza su di esso. È per garantire anche la presenza di Mosca che il Concilio pan-ortodosso non si tiene più nella cattedrale di Sant’Irene di Istanbul, l’unica cattedrale bizantina della città non trasformata in Moschea, ma piuttosto a Creta, nell’Accademia Ortodossa. E questo perché, con le tensioni diplomatiche tra Russia e Turchia, il patriarca russo avrebbe avuto particolari difficoltà, anche interne, a partecipare. E lo stesso patriarca russo ha messo la questione ucraina sul tavolo degli incontri di Chambesy.
Il discorso di Kirill a Chambesy sembrava in qualche modo porre le precondizioni per la partecipazione al Grande e Santo Concilio. Molto calibrato, Kirill presentava alcune tra le principali preoccupazioni del Patriarcato, la più grande delle quali è proprio la questione ucraina. Lì le due più grandi istituzioni sono la Chiesa Ortodossa Ucraina, sotto il patriarcato di Mosca, e il Patriarcato di Kiev. Sono su posizioni politiche differenti, e sotto vescovi differenti. Il patriarca Kirill ha protestato nel suo intervento che 30 chiese sono state violentemente tolte dalla sua autorità alla gerarchia di Kiev, mentre al minimo altre 10 chiese erano “sotto minaccia di essere prese dai nazionalisti ucraini”, e si è lamentato che “alcuni vescovi, che dicono di agire sotto l’autorità del Patriarca Bartolomeo, hanno visitato l’Ucraina ed espresso il loro supporto per la gerarchia di Kiev”, creando così “tentazioni tra i credenti e il clero in ucraina”.
Non è un problema di poco conto per i russi. Ne hanno parlato persino al Sinodo dei vescovi del 2014, e il metropolita Hilaron, capo delle relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, ha anche lodato la posizione intermedia che ha preso Papa Francesco sulla questione. Sempre Hilarion è stato diverse volte in Vaticano, l’ultima il 16 giugno 2015.
In quell’occasione, la questione ucraina non è stata menzionata nel comunicato del Patriarcato. Segno, probabilmente, che Mosca vuole andare oltre la questione politica e territoriale, e cercare di guadagnare peso nel mondo ortodosso come uno degli interlocutori privilegiati della Santa Sede, alla pari con il Patriarcato di Costantinopoli.
Una marcia di avvicinamento che era iniziata nel 2012, Benedetto XVI ancora regnante, quando il patriarca Kirill si recò in Polonia, una visita storica che si concluse con un documento congiunto firmato con la Chiesa cattolica di Polonia che ambiva alla riconciliazione tra i due popoli e a un dialogo rinnovato.
Poi, con l’elezione di Papa Francesco, era stato Bartolomeo I a diventare di nuovo protagonista, mentre il Patriarcato di Mosca si era trovato alle prese con la difficile situazione in Ucraina.
Il rafforzamento dei rapporti con la Chiesa cattolica di Roma potrebbe portare il Patriarcato di Mosca ad avere un peso più forte al Grande e Santo Concilio. Dal canto suo, Papa Francesco ha invece sviluppato una serie di relazioni “multilaterali”, stringendo rapporti a livello informale anche le chiese autocefale, come quella rumena guidata dal Patriarca Daniel.
È, dunque, una questione di pesi ed equilibri tutto interno al mondo ortodosso. Ed è per questo che diventa sempre più di attualità la possibilità del primo storico incontro tra il Patriarca di Mosca e il vescovo di Roma. Nei giorni in cui Papa Francesco sarà in Messico, Kirill sarà a Cuba, invitato dal presidente Raul Castro durante la sua visita del maggio 2015. Di ritorno a Cuba, Raul Castro passò a trovare Papa Francesco, per parlare anche del possibile passaggio del Papa che aveva favorito il disgelo dei rapporti con gli USA en la isla. Passaggio che si concretizzò a settembre 2015, nel corso del viaggio che portò Papa Francesco anche alle Nazioni Unite e negli Stati Uniti per la Giornata Mondiale delle Famiglie.
E così, l’incontro tanto agognato potrebbe aver luogo in Sudamerica. Non a Bari, come si era pensato. Non in una repubblica dei Balcani, magari in Croazia o a Sarajevo (l’ipotesi fu ventilata per i viaggi di Benedetto XVI e Francesco). Non a Ravenna, come auspicava in una intervista ad ACI Stampa il vescovo di Mosca Paolo Pezzi. In quella stessa Ravenna dove, nel 2007, la commissione mista cattolico-ortodossa arrivò alla conclusione che “entrambe le parti concordano sul fatto che [...] Roma, in quanto Chiesa che 'presiede nella carità', secondo l’espressione di Sant’Ignazio d’Antiochia, occupava il primo posto nella 'taxis', e che il vescovo di Roma è pertanto il 'protos' tra i patriarchi”. Ma stabilì anche che le parti “non sono d’accordo sull’interpretazione delle testimonianze storiche di quest’epoca per ciò che riguarda le prerogative del vescovo di Roma in quanto 'protos', questione compresa in modi diversi già nel primo millennio".
Un tema, insomma, ancora aperto. Papa Francesco, dal canto suo, ha mostrato una grande sensibilità sul tema. Affacciandosi dalla loggia delle Benedizioni il giorno dell’elezione, parlò del “vescovo di Roma che presiede nella carità” le altre chiese, e poi ha anche ripreso, nell’Evangelii Gaudium, la questione di un possibile ripensamento dell’esercizio del primato che già Giovanni Paolo II aveva lanciato con l’enciclica Ut unum sint.
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C’è un quinto documento approvato in vista del Sinodo panortodosso che però potrebbe segnare il tono di un rinnovato dialogo tra le chiese ortodosse in cerca di unità e la Chiesa cattolica. Il documento riguarda “Il Sacramento del matrimonio e impedimenti”. Un documento in 18 punti, 11 riguardanti il matrimonio e 7 gli impedimenti al matrimonio, che stabiliscono la posizione comune degli ortodossi in difesa del matrimonio messo a rischio dalla secolarizzazione.
Il documento definisce il matrimonio “il più antico istituto di diritto divino”, destinata “non solo alla comunione spirituale della coppia (uomo e donna), ma anche con potenza al fine di garantire la continuità della vita del genere umano”. “Il mistero dell’unione indissolubile tra un uomo e una donna è l’immagine dell’unione tra Cristo e la Chiesa”, e “l’unione tra una donna in Cristo è una Chiesa o una immagine della Chiesa”, si legge nel documento. Che chiede ai vescovi ai pastori di “impegnarsi a lavorare intensamente nella zona pastorale” per proteggere il matrimonio, e notando che la crisi del matrimonio pesa soprattutto sui bambini.
Sarà forse questo un tema di dialogo profondo, più che la Dottrina Sociale della Chiesa, cui il Patriarca Kirill si ispira da tempo. Intanto, gli ortodossi sono in cerca della loro unità. Questo è il loro primo, grande concilio: prima dello scisma, ci sono stati sette concili ecumenici, gli unici dei 21 della Chiesa che sono stati riconosciuti. L’incontro di Creta servirà forse a trovare una direzione comune, al di là delle differenze e dei legami territoriali.