Il sostituto della Segreteria di Stato ha poi sottolineato che una nunziatura è “una sorta di canale”, che permette alle Chiese locali di condividere le loro preoccupazioni con il Papa, perché “il minister del Papa è una espressione della sollecitudine della Chiesa per l’intera umanità”, dall’attenzione per i poveri, all’aiuto nella sanità e l’istruzione, fino alla sfera sociale, culturale ed economica.
L’arcivescovo Becciu ha ricordato l’importanza del dialogo multilaterale, sottolineando la partecipazione della Malesia dell’ASEAN (l'Associazione di Nazioni del Sud Est Asiatico), ma anche il lavoro della Santa Sede nella “mediazione”, così importante che due anni fa il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, auspicò di istituire un ufficio per le mediazioni pontificie in Segreteria di Stato. Ma, ha aggiunto l'arcivescovo, le pietre fondative di tutti i rapporti non sono date dal quadro legale o istituzionale, per quanto importanti, ma dalle persone individuali, ciascuna “dotata di specifiche e complementari qualità e doni che contribuiscono alla delicata arte della costruzione della pace e della promozione del bene comune”.
Infine, l’arcivescovo Becciu ha sottolineato che “la Santa Sede guarda con rispetto all’eredità culturale” malese, specialmente perché la costituzione della Malesia “esprime l’importanza dell’Islam per l’identità nazionale”, ma sancisce anche “i valori dell’eguaglianza e della libertà e di religione”.
Nella Messa celebrata poi nella nunziatura, l’arcivescovo Becciu ha ricordato ai vescovi malesi che “in quanto Vescovi in unione con il Successore di Pietro a Roma, siete chiamati ad essere un segno visibile della presenza di Dio come roccia nella Chiesa universale e in ciascuna delle vostre Chiese particolari”.
Il viaggio del “ministro degli Esteri vaticano” in Romania
Tre giorni in Romania per l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, che dal 13 al 15 novembre è stato a Bucarest su invito di Teodor Melescanu, ministro degli Affari Esteri. Un viaggio per rafforzare i rapporti diplomatici, e anche forse per discutere di un possibile viaggio del Papa nella nazione.
Dalla Romania, era stato fatto trapelare che Papa Francesco sarebbe andato già nel prossimo anno, anche per rafforzare i rapporti ecumenici con il Patriarca ortodosso Daniel. Ma il 2018, in Romania, si celebrano anche i 100 anni dell’unione della Transilvania alla nazione, un anniversario doloroso per gli ungheresi. C’era il rischio che la presenza del Papa fosse politicizzata, e anche di scontentare la minoranza ungherese che vive nel territorio romeno, ma mantiene lingua e tradizioni magiare. Così, il viaggio sarà probabilmente posposto al 2019.
E infatti, nell’incontro con il ministro Melescani il 14 novembre, si è sottolineato “il forte desiderio del popolo romeno di accogliere Papa Francesco nel Paese”, sebbene l’incontro sia stato anche su questioni più tecniche, come i progressi dei negoziati sull’accordo bilaterale sulla collaborazione e sul riconoscimento reciproco dell’educazione superiore, ma anche dell’accoglienza dei migranti romeni delle diverse confessioni cristiane nei Paesi dell’Europa occidentale e della restituzione dei beni ecclesiastici confiscate dopo l’arrivo al potere del regime comunista, e poi si è guardato più ampiamente alla situazione della regione e dei cristiani perseguitati, e il futuro del progetto europeo.
Sempre il 14 novembre, il “ministro degli Esteri vaticano” è stato al Palazzo del Parlamento, dove ha incontrato il presidente del Senato, Călin Popescu-Tăriceanu, e successivamente il vice-presidente della Camera dei Deputati, Carmen-Ileana Mihălcescu: con i due si è parlato di come l’Unione Europea debba evolvere, considerando che la Romania assumerà nel 2019 la Presidenza del Consiglio dell’Unione Europea. In particolare, si è parlato del contributo che la Romania può offrire all’Unione, in particolare sul tema della famiglia.
Migranti e rifugiati: un impegno per salvaguardarne la salute
Il messaggio per la Giornata Mondiale della Pace è stato dedicato a migranti e rifugati, e se ne è parlato in particolare anche alla conferenza vaticana sulle “Disparità globali in materia di salute” che si è tenuta dal 16 al 18 novembre in Vaticano.
Il tema è stato in particolare affrontato da monsignor Robert Vitillo, segretario generale della International Catholic Migration Commission.
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Riferendosi in particolare alla situazione negli Stati Uniti, Monsignor Vitillo ha messo in luce che dare reinserire i migranti nel nuovo contesto costa circa 15 mila dollari, mentre i primi 20 anni di un rifugiato costano in termini di protezione sociale circa 92 mila dollari, ma in quello stesso periodo i rifugiati restituiscono 129 mila dollari in tasse. Un modo per dire che i costi, in qualche modo, rientrano. Ma il punto è che “i bisogni di salute delle popolazioni migranti e rifugiate possono differire” da nazione a nazione, e che questa variabilità può anche portare ad epidemia molto più costose da affrontare.
Monsignor Vitillo ha raccontato il lavoro dell’ICMC, che ha facilitato l’accesso al cura sanitaria di più di 24 mila persone nella Siria colpita dalla guerra, con una forte priorità per la cura prenatale e postnatale per le madri e le cure neonatali. Non solo: l’ICMC ha affrontato i bisogni igienici e sanitari di 22500 afgani rifugiati in Pakistan, e a 4 mila rifugiati del Myanmar che ora vivono in Malesia, la maggior parte dei quali sono stati vittime di violenza sessuale.
Verso il disarmo integrale?
La questione della non proliferazione delle armi, con l’utopia in vista di un disarmo integrale, è uno dei grandi ambiti in cui lavora la diplomazia della Santa Sede. Lo scorso 22 novembre, a Ginevra, c’è stato l’Incontro delle Parti della Convenzione sulla Proibizione o Restrizione sull’uso di alcune armi Convenzionali che possono essere eccessivamente ingiuriose o avere effetti indiscriminati. Per farla breve, un incontro sulle armi che sono considerate convenzionali, ma che possono avere effetti devastanti. La convenzione è abbreviata con la sigla CCW.
Ha partecipato all’incontro l’arcivescovo Ivan Jurkovic, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’ufficio ONU di Ginevra. Nel suo intervento, l’arcivescovo Jurkovic ha notato che “quel minimo di dignità della persona umana viene sempre violato nel nome di esigenze militari o politiche”, ma “le numerose vittime di conflitti non ci lasciano spazio per inazione e compromessi”. La Santa Sede ha chiesto dunque una revisione del CCW, chiedendo una certa flessibilità nel trattato che possa proteggere da ulteriori sviluppi.
Sono tre le richieste fatte dalla Santa Sede: di considerare l’impatto delle armi esplosive in aree popolate, perché “l’illusione di una guerra pulita è in drammatico contrasto con la realtà dell’impatto umanitario a lungo termine” che ha l’uso di armi esplosive in aree popolate”; di considerare l'impatto delle armi incendiarie, perché il loro uso “ripetuto e continuo” mette in discussione l’impatto di uno dei protocolli del trattato sulla prevenzione delle ferite “di lunga convalescenza” senza distinzione tra civili e combattenti, motivo per cui c’è necessità di una revisione urgente; e infine, di guardare con attenzione alla questione delle armi cosiddette LAWS (Lethal Autonomous Weapons System), automatiche, perché “una macchina è solo un complesso set di circuiti e questo sistema materiale non può, in ogni caso, diventare un agente morale pienamente responsabile”.