Il sistema della Kirchensteuer che ha provveduto a rendere ricchissima la Chiesa Cattolica di Germania. Che nel 2012 ha incassato circa 6,5 miliardi di euro, dovuto alla tassa versata da 23 milioni di Cattolici tedeschi dichiarati. Le 27 diocesi di Germania posseggono un gran numero di asset, proprietà immobiliari e bond finanziari.
Questo ha permesso ad ogni diocesi di investire somme ingenti. Non solo per le missioni, ma anche per generare profitti, o per migliorare le strutture stesse delle loro diocesi. Ovviamente, tutto questo denaro a disposizione porta anche a situazioni controverse.
Il caso più eclatante è stato quello del vescovo Franz Peter Tebartz van Elst, che ora lavora in Vaticano, e che a marzo si era dimesso dalla diocesi di Limburg a seguito di una inchiesta diocesana riguardo il modo in cui aveva gestito le spese della sua diocesi. In particolare, era stata contestata la spesa di circa 35 milioni di euro per la ristrutturazione di una casa della diocesi. Prima di dimettersi, il vescovo aveva accettato di rendere pubblici i bilanci della diocesi e la lista delle spese, e di collaborare con una commissione di vigilanza nominata dalla Conferenza Episcopale tedesca.
Ma subito il caso era apparso in tutte le sue contraddizioni. Perché lo stesso trattamento non era stato riservato ad altri vescovi tedeschi che non erano considerati così conservatori come il vescovo di Limburg.
Ad esempio, il Cardinal Reinhard Marx ha speso una cifra vicina ai 30 milioni di euro per rinnovare la residenza dell’Arcivescovo a Monaco e per costruire una ‘guesthouse’ diocesana a Roma. Nella guest house c'è anche un piccolo appartamento per lui, che comunque è molto più grande di quello abitato durante tutto l'anno dal rettore della casa Don Werner Demmel.
E anche il vescovo di Ratisbona Rudolf Voderholzer si è fatto restaurare il Palazzo Episcopale, ma dopo il caso di Limburg non abita lì per evitare il clamore mediatico, e vive nelle due stanze delle suore. Don Stefan Oster, vescovo di Passau, per reazione, convive con una suora, un ragazzo e una ragazza: hanno stanze separate, ma usano insieme cappella e cucina. Mentre l’ex presidente della Conferenza Episcopale Robert Zoellitsch, tra i più convinti promotori della linea progressista, non ha lasciato il Palazzo Episcopale di Freiburg, dove continua a vivere come emerito, mentre il suo successore Stephan Burger ha dovuto cercare casa.
L’agenda della misericordia
Tutte scelte che servono a dare una certa immagine della Chiesa, più vicina alla gente, attenta agli scandali interni, e pronta a nascondere le sue naturali contraddizioni. Il tutto per non perdere fedeli.
Al di là degli scandali, si deve notare che la ricchezza della Chiesa di Germania ha rappresentato anche una garanzia di indipendenza, e la possibilità di pagare gli impiegati ecclesiastici cifre molto più che dignitose fa sì che la Chiesa di Germania abbia una struttura efficiente e professionale. Ne beneficiano anche le missioni, che ricevono un gran flusso di denaro gestito in modo efficiente da opere come Renovabis.
Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia. Ovvero che la grandissima disponibilità di ricchezza ha portato la Chiesa di Germania ad avere sempre la necessità di mantenere costante l’afflusso di denaro proveniente dalla Kirchensteuer. In pratica, avere fedeli equivale ad avere un finanziamento. E se i fedeli decidono di destinare la Kirchensteuer ad altre confessioni religiose, le spese devono necessariamente essere tagliate.
Nasce anche da qui la politica molto aggressiva della Chiesa di Germania in favore di una agenda progressista, o “inclusiva” per dirla con le parole del Cardinal Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga. Chi non è parte di questa agenda, rischia di essere messo all’angolo, e in minoranza, dagli stessi vescovi tedeschi.
Il tema della misericordia, ad esempio, è stato sviluppato da tempo per tendere una mano all’accesso alla comunione a divorziati risposati, a porre meno l’accento sui temi etici che spesso le persone non capiscono e che sono fonte di abbandono alla Chiesa cattolica, ad accettare situazioni ‘de facto’ che sono completamente fuori dalla dottrina.
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Un tema di cui era ben consapevole Benedetto XVI, che in Germania compì nel 2011 un viaggio memorabile. Lì, chiese demondanizzazione per la Chiesa, sottolineò che una Chiesa troppo compiaciuta delle sue strutture è una Chiesa che perde l’identità, esortò tutti a ritornare a una più profonda identità cristiana.
Uno schiaffo sulla faccia della Chiesa di Germania, che poco dopo il viaggio – nella sua riunione periodica – si orientò comunque sull’agenda progressista che la caratterizzava da tempo. Una agenda era appunto giustificata dalla necessità di attrarre fedeli per garantire un costante afflusso di tasse e perpetuare le strutture.
La riforma di Benedetto, e la posizione dei vescovi
Ma Benedetto XVI sapeva che questo sistema non poteva funzionare. Perché i casi controversi erano diversi. Negli anni, molti emigrati in Germania, cattolici praticanti, non avevano pagato la Kirchensteuer. In molti casi, per ignoranza. Ma subito l’efficiente apparato statale aveva provveduto a comunicarlo al vescovo, come da prassi, che lo aveva comunicato a sua volta al vescovo del Paese di origine, che a sua volta aveva informato il parroco, il quale infine lo aveva cancellato dai registri del Battesimo. Così, quando magari l’emigrato tornava a casa, e voleva sposarsi, scopriva di non poterlo più fare in Chiesa, perché non aveva nemmeno il Battesimo.
Come comportarsi in queste circostanze? Nel 2006, il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi aveva inviato una lettera circolare ai vescovi dell’area tedesca, chiedendo loro se davvero la scelta di lasciare la Chiesa per “ragioni fiscali” potesse essere considerata una apostasia. La discussione era aperta, e si capiva bene che il Vaticano voleva superare il problema dell’apostasia.
Alla fine, si stabilì che, no, non poteva essere considerata una apostasia, e dunque non c’era scomunica automatica. Ma il 9 settembre del 2012, il vescovi tedeschi pubblicarono un documento in cui si spiegava che non pagare la tassa sulla Chiesa non poteva portare alla scomunica, ma era comunque equivalente a “un pubblico grave peccato”. In pratica, le conseguenze erano le stesse: niente comunione, niente possibilità di funerale cattolico.