Città del Vaticano , martedì, 19. luglio, 2016 14:00 (ACI Stampa).
In una intervista alla Schwaebishe Zeitung, l’arcivescovo Georg Gaenswein, prefetto della Casa Pontificia, ritorna sul problema della “tassa sulla Chiesa in Germania” e lo definisce “un serio problema”. Si tratta di un tema affrontato a più riprese, anche sotto il Pontificato di Benedetto XVI, e che si collega direttamente al calo di partecipazione dei fedeli alle attività della Chiesa. Ma si collega anche all’ “agenda della misericordia” della Chiesa tedesca, che da alcuni osservatori è vista come un modo per far sentire quante più persone possibile incluse nell’alveo della Chiesa cattolica.
Il problema, in realtà, è molto più complesso. Incontrando i vescovi tedeschi in visita ad limina, Papa Francesco ha certificato la crisi della Chiesa tedesca con un discorso ad ampio raggio, nel quale il Papa individuava nelle radici della crisi anche una mancanza di identità cattolica, e in particolare sul fatto che “il Sacramento della Penitenza” fosse quasi scomparso. Era novembre 2015. A luglio 2015, i dati ufficiali sottolineavano ufficialmente che nell’anno precedente erano stati circa 200 mila i tedeschi che avevano lasciato la Chiesa cattolica.
I dati 2015, presentati di recente, non sono più confortanti. La Chiesa cattolica conti il 29 per cento della popolazione (quasi 24 milioni di fedeli), ma nel 2015 è stata abbandonata da 181.925 persone. Le conversioni al cattolicesimo sono state 2685, mentre 6474 cattolici sono tornati alla fede. La partica domenicale staziona su un circa 10,4 per cento delle persone cosiddette praticanti.
C’è da una parte la crisi di fede, e dall’altra un problema molto pratico. Sono considerati tra quanti lasciano la Chiesa cattolica anche quanti smettono di pagare la cosiddetta “tassa sulla Chiesa”.
La tassa si chiama Kirchensteuer, ed è in vigore dal 1867, come compensazione per le perdite della Chiesa dovute al processo di secolarizzazione dovuto da Napoleone. I cattolici tedeschi, che hanno forte il senso della comunità e sentono di dover contribuire alla vita della Chiesa, non hanno mai considerato la tassa come un ‘gabello,’ ma piuttosto come un contributo perché la Chiesa mantenesse la sua indipendenza. Ora, la tassa si applica anche ad altre confessioni religiose - evangelici, cattolici, ebrei.