Ankara , lunedì, 13. aprile, 2015 16:46 (ACI Stampa).
La protesta turca è affidata a un lungo e dettagliato comunicato del Ministero degli Esteri, diffuso in inglese. In cui si chiarisce sin dal principio che non sono solo le parole del Papa ad aver ferito, ma anche quelle del rappresentante della Chiesa armena, il Catholicos Karekin II, che aveva tenuto parte del discorso a braccio, chiedendo a gran voce il riconoscimento del genocidio armeno. Leggere il comunicato aiuta a capire su quali basi è stata inoltrata la protesta della Turchia alla Santa Sede. Da vedere, ora, come la Segreteria di Stato supererà l’impasse diplomatica.
Il comunicato del Ministero è un misto di furbizia diplomatica e precisione legale. Sottolinea come il Papa abbia messo in luce solamente le sofferenze dei cristiani e degli armeni, utilizzando “un punto di vista selettivo,” che ha “ignorata le tragedie che sono cadute sui Musulmani turchi che hanno perso le loro vite nella Prima Guerra Mondiale.”
I toni del comunicato sono durissimi. I turchi sottolineano che durante la Messa “la storia è stata strumentalizzata per reclami politici,” e il riferimento è alle parole del Catholicos Karekin, più che a quelle del Santo Padre.
Ma è soprattutto la parola “genocidio” a disturbare. Papa Francesco l’ha usata, citando la dichiarazione congiunta fatta nel 2001 con lo stesso Karekin, a margine di un viaggio in Armenia in cui in nessun discorso il Papa polacco aveva mai parlato ufficialmente di genocidio. Una scelta politico/diplomatica, perché la Santa Sede mantenesse una equidistanza e allo stesso tempo riconoscesse il martirio dei cristiani armeni. Insomma, la parola genocidio, nella dichiarazione congiunta, era inserita in un contesto bilanciato ed equilibrato, che aveva comunque già allora causato qualche tensione con Ankara.
La stessa Ankara che ha sottolineato come “il genocidio è un concetto legale,” e che le rivendicazioni di genocidio “non soddisfano i requisiti della legge, anche se si tenta di spiegarli sulle basi di una convinzione diffusa, tendono a rimanere come calunnie.”