Dallo statuto del dicastero si possono evincere alcune caratteristiche della riforma. Prima di tutto, niente viene detto del Prefetto del dicastero che lo govenerà (dovrebbe essere un cardinale, come tutti i prefetti secondo la Pastor Bonus? O anche un arcivescovo, come può essere il presidente dei Pontifici Consigli?). Eppure, viene specificato che il numero 2 “può essere un laico”. E si sottolinea che i responsabili delle tre sottosegreterie laici, famiglia e vita devono essere laici. Non solo: anche i membri possono essere laici, e non solo i consultori. La riforma di Papa Francesco va dunque nella direzione di includere più laici all’interno dei dicasteri vaticani, anche in ruoli tradizionalmente destinati ai sacerdoti.
Il fatto che nulla venga detto della natura del Prefetto può far pensare che l’idea è quella di aspettare un testo tutto nuovo. E per questo nessuno dei nuovi dicasteri di Papa Francesco è stato inserito nella Pastor Bonus, così come il Consiglio dei Cardinali resta un organo consultivo, e non decisionale.
Ora si aspetta la costituzione del dicastero Giustizia, Pace e Migrazioni, che andrà ad inglobare i Pontifici Consigli di Giustizia e Pace e Migranti, e forse anche il Pontificio Consiglio Cor Unum, a meno che per questo non si voglia fare un dicastero nuovo sulla Carità. Ma è tutto da vedere.
Nelle ultime riunioni, i Cardinali hanno rimesso a posto le carte, valutato nuove possibilità. Niente è realmente definito. Basti pensare che i due nuovi super-dicasteri hanno cambiato nome più volte nel corso di queste riunioni, e persino strutturazione (all’inizio di parlava di cinque segreterie, ora si parla di tre sotto-segreterie).
Di fatto, si tratta di spostamenti organizzativi, che non cambiano la missione della Curia romana, organismo chiamato a aiutare il Papa nel governo della Chiesa.
Più complicata la questione del Motu Proprio “Come una madre amorevole”. Si può notare che in questo caso c’è stato quasi un passo indietro rispetto alle proposte del Consiglio.
Un anno fa, al termine di una riunione del Consiglio dei Cardinali, venne persino proposto un tribunale per punire i vescovi negligenti. Una proposta di difficile attuazione, anche perché non si capiva in che modo questo tribunale sarebbe andato ad affiancare la Congregazione per la Dottrina della Fede.
Ora semplicemente si stabilisce una specie di chiarificazione delle procedure, caldeggiata soprattutto dalle ex vittime che lavorano con la Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori.
In che modo cambino le cose, è tutto da capire. I casi di rimozione dei vescovi sono regolati dal canone 193 del diritto canonico, che sottolinea che una persona non può essere rimossa da un ufficio conferito "a tempo determinato" o anche "a tempo indeterminato" “se per gravi casi e osservando i modi di procedere definiti dal diritto”. Secondo la nota di padre Federico Lombardi, si tratta semplicemente di una procedura, non penale perché non riguarda un crimine.
Padre Lombardi spiega anche che queste gravi cause includono la negligenza di un vescovo nell’esercizio del suo ruolo, perché la negligenza potrebbe provocare un grave danno agli altri. Il motu proprio chiede che questa negligenza deve essere oggettivamente dimostrata. Ma sottolinea anche che la rimozione può avere luogo “anche senza una grave colpa morale" da parte del vescovo e dall'eparca e nei casi di abuso sui minori "è sufficiente che la negligenza sia grave" e non più "molto grave". Non è una distinzione di lana caprina: definire gravità e serietà dei casi è un criterio ineludibile per poter davvero fare giustizia.
Restano aperti alcuni punti: se ci sarà un tribunale che poi giudichi questa negligenza, se questa negligenza si applicherà anche a casi non di abuso e se questa casistica non era coperta già dal canone 1389, che al comma 2 afferma che “chi, per negligenza colpevole, pone od omette illegittimamente con danno altrui un atto di potestà ecclesiastica, di ministero o di ufficio, sia punito con giusta pena”, punizione che include la rimozione. E poi c’è anche il comma 2 del canone 401, ovvero quello che stabilisce le dimissioni del vescovo per gravi cause utilizzata molte volte per rimuovere vescovi che hanno agito in maniera errata nei casi di abusi.
Si tratta, dunque, semplicemente di una reiterazione di quello che già il diritto canonico stabilisce? E come cambia il rapporto tra Papa e vescovi? Diventa simile a quello tra un capo e i suoi sottoposti, in cui il Vaticano può rimuovere i vescovi anche per non aver semplicemente agito in alcuni casi particolari?
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Da capire come questa novità sarà applicata. Di certo, si tratta di una decisione che il Cardinal Sean O’Malley, arcivescovo di Boston e presidente della Pontificia Commissione dei Minori, accoglie con soddisfazione. In una dichiarazione diffusa nella serata del 4 giugno, il Cardinale ha affermato che il Motu Proprio “è chiaramente un importante passo avanti. Il suo scuopo è di stabilire mezzi chiari e trasparenti per assicurare maggiore assunzione di responsabilità nel modo in cui noi, leader della Chiesa, trattiamo i casi di abuso dei minori e adulti vulnerabili”.