Assisi , venerdì, 9. ottobre, 2020 14:00 (ACI Stampa).
"Di pellegrini, gli assisani ne vedono passare tanti. Ma Carlo non fu solo un pellegrino. Nei soggiorni prolungati che, insieme, con la sua famiglia, faceva nella Città del Poverello, si annodava un rapporto. Si sviluppava una simpatia che non riguardava solo le memorie francescane della Città, ma i cittadini stessi. Il suo affascinante sorriso fece presto a confondersi con il vissuto di questa città". Così Monsignor Domenico Sorrentino scrive nel suo libro "Originali, non fotocopie. Carlo Acutis e Francesco d'Assisi". ACI stampa ha chiesto al Vescovo di Assisi - Nocera Umbra - Gualdo Tadino di parlarci di questo rapporto Carlo - San Francesco e il legame del giovane prossimo beato con la città del poverello:
Assisi accoglie Carlo Acutis. Prima le sue spoglie e ora l'evento più atteso, la beatificazione. Qual è il legame tra Assisi e il giovane ragazzo?
Carlo era nato a Londra ed è vissuto a Milano. Ma ogni anno, con i genitori, veniva ad Assisi, passando lunghi periodi nella Città di San Francesco. Il Santo di Assisi lo ispirò, per quanto, con umorismo, una volta disse alla madre: “Voglio diventare santo, ma non come san Francesco che faceva tanta penitenza”. I santi non si ripetono. Ciascuno ha la sua fisionomia. Ma è un fatto che l’amore di Carlo per Francesco lo indusse, in una occasione, a dire alla madre che, alla morte, avrebbe preferito essere sepolto qui. È quello che è avvenuto. Ma in qualche modo egli si era assisanizzato anche in vita. I tempi passati ad Assisi lo vedevano ben inserito, e molta gente lo ricorda. Alcuni amici assisani hanno anche testimoniato nella sua causa di beatificazione.
Nel suo libro lei Eccellenza affianca San Francesco a Carlo Acutis. È davvero reale questa affinità? Cosa c'è di Carlo nel poverello d'Assisi e viceversa?
Di primo acchito, non ci avrei creduto neanch’io. Ma mi capitò di parlare, in un mio viaggio a Seattle, a giovani americani di Francesco e di Carlo, e mi venne spontaneo fare degli accostamenti che interessarono molto i giovani. Volli metterli su carta e approfondirli. Ed è emerso il filo che li lega, in diversi aspetti. Prendiamone uno: l’assoluto di Dio. Quello che Francesco disse nel giorno della sua spogliazione – “Non più padre Pietro di Bernardone ma Padre nostro che sei nei cieli”, Carlo lo diceva con due parole di fuoco: “Non io, ma Dio”. Prendiamo l’Eucaristia: Francesco inneggia al mistero di un Dio che ogni giorno dalla sua sede celeste scende sui nostri altari. Carlo fa il cammino inverso, in senso ascendente, e dichiara l’Eucaristia la sua “autostrada per il cielo”. Prendiamo infine la povertà. Certo, non c’è paragone tra quello che fece Francesco e quello che fece Carlo. Ma quest’ultimo era appena un quindicenne, ancora totalmente dipendente da una famiglia benestante. E tuttavia i segni della sua scelta di povertà si vedevano già chiari, quando litigava con la mamma per non avere un paio di scarpe in più, o quando, senza mettersi in mostra, incontrando i poveri, non si limitava alla monetina, ma tendeva a fare amicizia. Potrei continuare. Due figure tanto distanti e diverse, ma anche, nell’essenziale, tanto vicine. Ed oggi insieme in uno stesso Santuario.