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Diplomazia Pontificia, 70 anni di Dichiarazione Universale di Diritti dell’Uomo

Arcivescovo Paul Richard Gallagher | L'arcivescovo Paul Richard Gallagher durante la relazione Arcivescovo Paul Richard Gallagher | L'arcivescovo Paul Richard Gallagher durante la relazione "Le sfide dell'universalità" tenuta il 10 settembre a Strasburgo per celebrare i 70 anni della Dichiarazione dei Diritti Universali dell'Uomo | ECLJ

Per i 70 anni della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, la Santa Sede ha organizzato lo scorso 10 settembre un incontro a Strasburgo, sul tema “La sfida dei diritti universali dell’uomo”, con le presentazioni del professor Emmanuel Decaux, di Guido Raimondi, presidente della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, e dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro degli Esteri vaticano.

Ma è solo il primo di una serie di eventi della Santa Sede destinati a celebrare il 70esimo della Dichiarazione. Il prossimo 3 dicembre, sarà la Missione Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a organizzare una conferenza sulla “Dignità della vita”, mentre il 10 dicembre, il giorno in cui cade l’anniversario della dichiarazione, ci sarà un colloquio sul tema organizzato in Vaticano.

Il discorso dell’arcivescovo Gallagher sui Diritti dell’Uomo rappresenta un po’ il filo rosso attraverso cui leggere gli interventi della Santa Sede sul tema diritti umani. In questa settimana, da notare anche la lettera che Papa Francesco ha spedito al presidente nicaraguense Daniel Ortega, mentre le tensioni nel Paese restano vive e vanno a toccare anche i vescovi; e l’incontro tra il metropolita Hilarion, capo delle Relazioni Esterne del Patriarcato di Mosca, e il nunzio apostolico in Russia Celestino Migliore, che ha avuto luogo mentre si inaspriscono i rapporti tra il Patriarcato di Mosca e il Patriarcato di Costantinopoli per via della decisione di Costantinopoli di concedere il tomos di autocefalia alle Chiese ortodosse in Ucraina che non sono parte del Patriarcato di Mosca e che allo stesso tempo fino ad ora sono state considerate indipendenti.

Le tre sfide della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo secondo la Santa Sede

Secondo la Santa Sede, sono tre le sfide che presenta oggi la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo: un modello di sviluppo sociale non sufficientemente inclusivo, le derive legate al crescente pluralismo culturale; le persistenti e gravi violazioni dei diritti umani che si registrano da ogni parte del mondo.

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Le ha delineate l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, “ministro degli Esteri” vaticano, in un incontro sulle “Sfide dei Diritti dell’Uomo” organizzato dalla missione della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa.

Il 70esimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo rappresenta per la Santa Sede, ha detto l’arcivescovo Gallagher, “l’occasione per riaffermare il proprio impegno a servizio della causa dell’uomo”, specialmente oggi che “il patrimonio prezioso dei diritti umani appare seriamente in discussione”.

Perché la Santa Sede sostiene i Diritti Universali dell’Uomo? Perché “il principio di dignità inerente ad ogni essere umano, con i diritti inalienabili che ne conseguono”, abbia “una convergenza naturale e profonda con la comprensione biblica dell’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio”.

Le tre sfide presentate dall’arcivescovo Gallagher si racchiudono in un grande tema: la sfida dell’universalità.

Come fanno i diritti ad essere universali se il modello di sviluppo sociale crea così tanto divario alle società? Nota l’arcivescovo Gallagher che le disuguaglianze crescono, anche a livello globale, mentre “la rivoluzione comunicativa” mette le persone nella miseria in grado di guardare “da vicino come altri popoli stiano comodamente seduti al banchetto dell’opulenza”.

È una situazione che ha un peso nella contestazione ai diritti umani, da capire. Perché – sottolinea il “ministro degli Esteri” vaticano – si deve temere “di costruire delle società basate sull’affermazione delle libertà individuali, ma povere di giustizia sociale”, e ci si deve chiedere se i modelli di sviluppo che si stanno conseguendo, che non sono inclusivi , possano essere compatibili con l’università dei diritti.

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La seconda sfida è quella del pluralismo culturale, già osservato nel 1948 quando si criticava che i Diritti Umani mostrassero solo il retaggio della cultura occidentale. Oggi, però, la questione è persino diversa, da una parte si nota una “crescente tendenza al nazionalismo politico e al fondamentalismo ideologico”, dall’altra “la cultura liberale dominante si è avviata verso l’interpretazione in senso radicalmente individualista di alcuni diritti, o verso l’affermazione di nuovi diritti”, che sono “obiettivamente distanti dai testi fondatori”, e per questo difficilmente raggiungono un consenso universale.

Infine, c’è la sfida dell’instabilità dell’ordine internazionale, che porta al “preoccupante diffondersi di sistematiche e gravissime loro violazioni, che interpellano la comunità internazionale”, perché la guerra mondiale a pezzi di cui parla Papa Francesco, per la sua propria natura di guerra, “non può essere né creata né sostenuta attraverso il rispetto dei diritti umani, a meno che non vi siano chiari elementi di giustizia”, e “le ovvie difficoltà nel rispettare le leggi internazionali sui diritti umani non sono una scusa per ignorarle”, ma anzi “devono condurre a uno sforzo ancora maggiore per integrare queste considerazioni in una realtà operativa”.

La Santa Sede propone anche delle risposte a queste sfide. Il problema del modello economico non inclusivo viene affrontato guardando a tutti i diritti umani, da quelli “politici e civili” a quelli “economici, sociali e culturali”, che è un punto essenziale, perché “nessuna delle due categorie può fiorire senza l’altro”.

In particolare, in Europa – sottolinea l’arcivescovo Gallagher – si dovrebbe “approfondire l’interdipendenza tra i diritti protetti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e quelli protetti dalla Carata Sociale”, secondo quello “sviluppo umano integrale” delineato dalla Dottrina Sociale della Chiesa, che è per ogni uomo e di tutto l’uomo.

Nota poi l’arcivescovo Gallagher che l’Agenda 2030 dello sviluppo sostenibile sottolinea che “nessuno deve essere lasciato indietro”, e che per la Santa Sede significa “attenzione prioritaria a tutti gli esseri umani in situazione di debolezza”.

E poi, lo sviluppo per tutto l’uomo che significa farlo sviluppare “in tutte le dimensioni che lo costituiscono”, dai bisogni elementari di sopravvivenza al diritto all’educazione, anche perché “l’obiettivo di promuovere le libertà fondamentali di ogni persona è inseparabile da quello di costruire una società giusta”.

La sfida del pluralismo culturale, invece, va affrontata guardando al “diritto alla libertà religiosa”, che ha un rilievo particolare perché “protegge la relazione con il fine ultimo dell’esistenza”, e non si limita alla libertà di culto o di manifestare la propria fede, ma “attesta il carattere aperto di una società democratica”, riconosce “ i limiti della competenza dello Stato quando si tratta di affrontare interrogativi allo stesso tempo intimi e definitivi”.

Lo Stato è chiamato a non prendere posizione, nemmeno ora che culture religiose e non religiose sembrano distanziarsi sempre di più, e quando lo Stato è “indirettamente costretto a farlo, dovrebbe rispettare i cittadini”, permettendo “per quanto possibile a persone e comunità di vivere in conformità alle proprie profonde convinzioni”, secondo una “neutralità benevola” che è l’unico mezzo per “favorire il senso di appartenenza e il necessario dialogo tra persone e gruppi appartenenti a tradizioni culturali diverse”.

Certo, ammette l’arcivescovo Gallagher, “il crescente pluralismo mette talora alla prova la possibilità di trovare un’intesa comune sul modo in cui alcuni dei valori fondamentali debbano trovare espressione”, ma proprio qui “il rispetto della libertà religiosa può venire in aiuto”.

Per quanto riguarda la sfida dell’instabilità dell’ordine internazionale, l’arcivescovo Gallagher ricorda che “l’intero edificio dei diritti umani presuppone come condizione sine qua non di riconoscere, in uno spirito di fraternità, che i miei diritti e i diritti dell’altro sono interconnessi e interdipendenti”, e quindi se dignità e diritti degli altri vengono “ignorati o calpestati, allora anche la mia dignità e i miei diritti sono in pericolo”.

Ci vuole un “approccio integrale alla questione della pace, che comprende il sostegno allo sviluppo delle nazioni più povere, implica anche l’assunzione di responsabilità per la tutela dell’ambiente, che è una parte essenziale della promozione e della tutela dei diritti umani”.

Papa Francesco scrive al presidente del Nicaragua

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In occasione della festa nazionale del Nicaragua, che si celebra il 15 settembre, Papa Francesco ha inviato lo scorso 31 agosto un breve messaggio, con un cordiale saluto, l’assicurazione di preghiere per i figli e le figlie di questa “amata nazione”, e l’invocazione a Gesù, principe della pace, perché “conceda a tutti i doni di una fraterna riconciliazione e una pacifica e solidale convivenza”.

Il messaggio è significativo perché i 197 anni di indipendenza si festeggiano nel pieno di una crisi socio-politica in atto di aprile, che ha portato a circa 400 vittime secondo gli osservatori internazionali e 198 secondo Managua, e durante la quale i paramilitari hanno attaccato anche i vescovi, inclusi il Cardinale Leopoldo Brenes, arcivescovo di Managua, e il nunzio Waldemar Stanislaw Sommertag, rei di aver preso posizione a fianco del popolo.

Più volte, Papa Francesco all’Angelus ha espresso dolore e preoccupazione per la situazione.

La Conferenza episcopale del Nicaragua aveva preso il ruolo di mediatore nel cosiddetto Dialogo Nazionale tra governo e opposizioni, ma era subito apparsa evidente la difficile posizione dei vescovi.

La Santa Sede a Ginevra parla di diritto all’acqua, diritto allo sviluppo e diritti umani

Sono tre i discorsi che la missione della Santa Sede ha presentato alle Nazioni Unite nel corso di quest’ultima settimana.

Il 10 settembre, si discuteva di Acqua e Igiene Sanitario nell’ambito della 39esima sessione del Consiglio dei Diritti Umani. Nel suo intervento, l’arcivescovo Ivan Jurkovic, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’ONU di Ginevra, ha sottolineato che l’acqua è un “diritto umano che richiede una distribuzione equa e un eguale accesso alle risorse”, ma che questo significa “evitare di trattare l’acqua meramente come un bene che ha precedenza sul diritto umano dell’acqua”.

La Santa Sede ha rimarcato che “l’acqua è una preziosa risorsa, l’accesso alla quale è un diritto basico e inalienabile di ogni essere umano”, ma è anche una responsabilità da “non sprecare”, e per questo “è saggio ci sia una integrazione dei temi migratori nella considerazione in qualunque cornice che prevede la gestione delle risorse d’acqua e, in maniera reciproca, una considerazione della questione dell’acqua in ogni cornice di gestione delle migrazioni”.

 

Insomma, le migrazioni e il cambiamento climatico devono essere considerati in modo da “assicurare acqua potabile per tutti”, vale a dire che si devono riconoscere “i beni delle migrazioni per lo sviluppo”.

Il 12 settembre c’è stato un dibattito sul diritto allo sviluppo, sempre nell’ambito del 39esimo Consiglio per i Diritti Umani. L’arcivescovo Jurkovic ha sottolineato che l’obiettivo dell’agenda 2030 per cui “nessuno debba essere lasciato indietro” rappresenta ormai un dovere per ogni istituzione, e che la persona umana, con i suoi diritti e doveri religiosi e sociali è “sia fondamento che agente dello sviluppo umano integrale”, e che il concetto di “dignità della persona umana” rimarrà solo uno slogan se “non si traduce in politiche dello sviluppo inclusive, centrate sui diritti umani e capaci di raggiungere tutti i segmenti della società”.

La Santa Sede ha anche notato che i diritti umani “devono essere rispettati come una espressione di giustizia, e non meramente perché possono essere rafforzati attraverso la volontà dei legislatori”, e che “la legalità spesso prevale sopra la giustizia quando l’insistenza sui diritti li fa sembrare come il risultato esclusivo di promulgazioni legislative o decisioni normative dalle varie agenzie di quanti sono al potere”.

La preoccupazione della Santa Sede riguarda soprattutto il fatto che in molti incontri multilaterali si parla di una nozione di diritti umani che può essere dibattuta, mentre questi diritti umani sono contrari al principio di molte nazioni, e che quindi rappresentano una “forma moderna di colonizzazione ideologica”, che “danneggia la cooperazione tra le nazioni piuttosto che sviluppare la pace e il vero sviluppo”.

Al contrario – ha aggiunto l’arcivescovo Jurkovic – quando i “i diritti umani sono basati sulla legge naturale, iscritti nel cuore umano e presenti in differente culture e civilizzazione”, la loro promozione può diventare “la strategia più efficace per eliminare le ineguaglianze tra le nazioni e i gruppi sociali e per far crescere la sicurezza”.

L’arcivescovo Jurkovic ha anche chiesto che gli individui svantaggiati e marginalizzati devono comunque avere la possibilità di partecipare “nel meccanismo decisionale come agenti degni del loro stesso destino”, e che questo approccio partecipativo “sarà di successo solo se rispetta il rispetto della sussidiarietà”, coinvolgendo anche “le comunità locali, i centri di educazione e altri servizi in cui è attiva la Chiesa Cattolica”.

Il 14 settembre, al dibattito generale del 39esimo Consiglio dei Diritti Umani, la Santa Sede ha sottolineato che “i giovani, ora più che mai, sono sogno di sicurezza, stabilità, soddisfazione”, e desiderano affermare la loro “inerente dignità di lavorare, partecipare attivamente nella definizione del futuro e della società”, ma “l’economia mondiale, sebbene in crescita, non è capace di creare abbastanza lavori di qualità per i giovani”.

Succede – sottolinea l’arcivescovo Jurkovic – sia nelle nazioni in via di sviluppo che in quelle sviluppate, e “le giovani donne sono le più vulnerabili”, spesso vittime di “differenti forme di sfruttamento, ingiuste condizioni di lavoro e inadeguati livelli di remunerazione”, mentre i giovani dissoccupati tendono ad essere “demoralizzati”.

La situazione “non è aiutata dalla corrente instabilità mondiale, che è anche uno dei fattori che spinge a drammatici movimenti di giovani per sfuggire a povertà conflitti ed effetti del cambiamento climatico”.

Per questo, la Santa Sede ritiene necessario ricostruire e riadattare le connessioni tra educazione e lavoro”, il costruire nuove abilità cognitive, e allo stesso tempo dare voce politica forte ai giovani, perché nelle nazioni sviluppate sono pochi rispetto ai vecchi, nelle nazioni in via di sviluppo la loro partecipazione è spesso silenziata. Nuovi ambasciatori presso la Santa Sede

Marek Lisanski, ambasciatore di Slovacchia presso la Santa Sede, ha presentato lo scorso 13 settembre le sue credenziali a Papa Francesco. Classe 1976, sposato con tre figli, ha un dottorato in diritto e si è occupato in maniera particolare anche di rapporti tra Slovacchia e Ungheria, nonché di vittime della Shoah: è stato infatti dal 2007 al 2009 rappresentante del governo presso il Consigliere per la riabilitazione delle vittime dell’Olocausto, e dal 2008 al 2014 rappresentante della Repubblica Slovacca presso il Comitato gestionale del Monumento nel Campo di sterminio nazista di Sobibór.

Da segnalare, tra le udienze del 13 settembre, anche quella che Papa Francesco ha concesso all’arcivescovo Paul Fitzpatrick Russell, nunzio apostolico in Turchia, Turkmenistan e Azerabijan. È la prima volta che il nunzio in Azerbaijan non è anche nunzio negli altri due Paesi del Caucaso, Armenia e Georgia, e la questione è dovuta anche alle tensioni tra Armenia e Azerbaijan. Possibile tema del colloquio, il nuovo ambasciatore di Turchia presso la Santa Sede.

La Turchia ha infatti scelto il successore di Mehmet Pacaci nei rapporti con il Vaticano. Lo scorso 13 settembre, il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha notificato ai nuovi ambasciatori le loro nuove destinazioni. Il consulente stampa del presidente Recep Tayip Erdogan, Luftulla Gotkas, è stato nominato come nuovo ambasciatore presso la Santa Sede.

Pacaci, studioso molto conosciuto in patria, è stato colui che ha gestito la crisi tra Turchia e Santa Sede dopo le dichiarazioni di Papa Francesco sul genocidio armeno. La distensione dei rapporti rese più facile il viaggio del Papa in Armenia. Dal 24 al 26 giugno 2016.

Arriverà invece il 24 settembre il nuovo ambasciatore di Irlanda presso la Santa Sede, ma le lettere credenziali saranno presentate nei prossimi mesi per via di una lunga coda per la presentazione delle credenziali. Il nuovo ambasciatore è Derek Hannon, che ha già servito da diplomatico nell’ambasciata presso la Santa Sede, e sostituisce Imma Madigan, che ha avuto tra i suoi compiti quello di riportare l’ambasciata di Irlanda a Roma dopo che nel 2011 era stata chiusa l’ambasciata residenziale presso la Santa Sede – ma non i rapporti diplomatici.

Secondo il primo ministro di Hong Kong, l’accordo tra Cina e Santa Sede è imminente

C’è molta tensione a Taiwan riguardo un eventuale accordo tra Cina e Santa Sede sulle nomine dei vescovi. Lo scorso 13 settembre, il ministero per gli Affari Esteri ha diffuso una nota secondo la quale numerosi fonti parlano di una firma imminente dell’accordo, tra settembre e ottobre.

L’accordo andrebbe a regolare le nomine dei vescovi in Cina, cd ha trovato la fiera opposizione di alcuni membri della Chiesa, come il Cardinale Joseph Zen, che vi vedono una deroga alla libertà religiosa e la libertà della Chiesa di nominare vescovi, e altri più possibilisti, come il Cardinale John Tong Hon, che invece sostengono che un coinvolgimento del governo nelle consultazioni previe non tocca la libertas ecclesiae, ma allo stesso tempo permette di avere rapporti meno tesi sul tema della libertà religiosa.

La paura di Taiwan è quello che l’accordo sia un primo passo verso una intesa diplomatica che porterebbe inevitabilmente la Santa Sede a rompere i rapporti diplomatici con Taiwan. La Santa Sede è uno dei 17 Stati nel mondo che riconoscono Taiwan. Nelle scorse due settimane, anche El Salvador ha stretto rapporti diplomatici con la Cina e ha rotto i rapporti con Taiwan.

La Santa Sede ha nominato l’arcivescovo Fortunatus Nwachuwu nunzio in Belize, posto generalmente destinato al nunzio in El Salvador, anche presumibilmente come risposta diplomatica, per mantenere insieme le nazioni che ancora preferiscono le relazioni con El Salvador.

Negli ultimi due anni, Taiwan ha perso 5 alleati a favore di Pechino negli ultimi due anni. Sull’isola ci sono circa 300 mila cattolici, e i vescovi di Taiwan in visita ad limina lo scorso maggio hanno invitato a visitare l’isola.

Un incontro sulla sicurezza alimentare in Vaticano

È stato aperto dal “ministro degli Esteri” vaticano Paul Richard Gallagher l’incontro su “Sicurezza Alimentare e Diete Salutari” organizzata dalla Pontificia Accademia delle Scienze in Vaticano dal 12 al 13 settembre.

Il laboratorio ha avuto l’obiettivo di mettere in luce come tutte le persone, specialmente le più vulnerabili, debbano avere accesso a cibi sicuri, accessibili e nutrienti, necessari per sostenere la loro vita e la dignità umana.

Obiettivo della conferenza è stato quello di parlare delle ultime scoperte scientifiche e innovazioni riguardo la sicurezza alimentare. Un focus specifico è stato dedicato alle nazioni di basso e medio reddito. Le conclusioni rappresentano anche un contributo per la Santa Sede in vista della Conferenza Internazionale sulla Sicurezza Alimentare del 2019, co sponsorizzata dalla FAO e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Joachin von Braun, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, ha sottolineato che “viviamo in un mondo in cui il numero delle persone malnutrite è cresciuto a 815 milioni nel 2017, sebbene un terzo del cibo prodotto annualmente per il consumo umano va perso o buttato”.

Il nunzio apostolico in Russia incontra il metropolita Hilarion

Il 13 settembre, il metropolita Hilarion ha incontrato l’arcivescovo Celestino Migliore, nunzio apostolico presso la Federazione Russa. Ne dà notizia il sito del Patriarcato di Mosca.

Sempre secondo il patriarcato, i “partecipanti al meeting hanno discusso l’attuale agenda delle relazioni tra il Patriarcato di Mosca, la Santa Sede e altri temi di comune interesse per la Chiesa Ortodossa Russa e la Chiesa cattolica”.

All’incontro hanno preso parte anche l’archimandrita Filaret, vice di Hilarion, e lo ieromonaco Stefano, segretario del Patriarcato di Mosca per le relazioni inter-cristiane.

Possibile che dell’incontro si sia anche parlato della richiesta di autocefalia di due Chiese ortodosse ucraine non ufficialmente riconosciute. Il tema è stato anche oggetto di un incontro tra il Patriarca russo Kirill e il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, che ha ricevuto la richiesta in quanto primo della sinassi.

Dopo l’incontro, Bartolomeo ha nominato due esarchi del Patriarcato ecumenico in Ucraina, per valutare la questione della richiesta delle due chiese ortodosse ucraine. La nomina è stata mal ricevuta dal Patriarcato di Mosca, e negli scorsi giorni anche il sinodo di Bielorussia, direttamente legato a Mosca, ha espresso condanna per la decisione del Patriarcato Ecumenico. Bartolomeo, dal canto suo, ha chiesto invece la convocazione di un Concilio Pan-Ortodosso.

Il Grande e Santo Concilio Pan-Ortodosso si è tenuto nel 2016. Il Patriarcato di Mosca, dopo aver partecipato alle riunioni preparatorie, non ha partecipato, così come non vi ha voluto partecipare la Chiese ortodosse di Georgia.